Barbie: Greta Gerwig e il blockbuster femminista
Con “Barbie”, Greta Gerwig, solitamente legata al cinema indipendente, sperimenta il mondo dei blockbuster. Ispirato alle bambole Mattel, il film, co-scritto con Noah Baumbach, è una commedia per tutte le età, interpretata da Margot Robbie e Ryan Gosling. Oltre all’intrattenimento, il film riesce a suscitare una riflessione sulla condizione femminile nella società attuale. Pur non essendo un manifesto femminista, la profondità intrinseca a “Barbie” la distingue positivamente da altri blockbuster. Gerwig dimostra abilità nella gestione di marchi iconici, mescolando idee autoriali e esigenze commerciali, e conferma il suo talento nel creare intrattenimento con significato.
“Barbie” ci racconta essenzialmente la storia di una bambola che vive nell’immaginario mondo di “Barbieland”. La sua vita è perfetta, aiutata dalle amiche e amata da Ken, ma quando questa perfezione verrà intaccata, si vedrà costretta a lasciare il suo mondo per entrare nella realtà e capire cosa sta succedendo. Assieme a lei andrà anche Ken, ma purtroppo la loro avventura nel mondo reale non andrà come previsto, modificando anche l’idilliaco paradiso che è “Barbieland”.
Dove il lavoro della coppia Gerwig/Baumbach convince maggiormente è sicuramente nella scrittura. “Barbie” riesce a essere semplice e allo stesso tempo estremamente lucido nella sua riflessione femminista, ma anche per come ironizza sui problemi con cui si scontrano spesso queste tipologie di pellicole, ossia la gestione del marchio. Non è, infatti, semplice portare sullo schermo un’idea personale quando di mezzo ci sono figure iconiche legate a marchi o prodotti, ma la sceneggiatura in questo senso ci riesce mescolando abilmente idee non sempre originali, ma piegando tutto il telaio narrativo alle esigenze autoriali.
Gerwig infonde al suo “Barbie” un’innata personalità, confermando che le abilità dimostrate con le precedenti pellicole non erano frutto del caso, ma di un lucido approccio al mezzo cinematografico. Dall’esplosione di colore nei costumi e nella scenografia, passando per le musiche, la pellicola ha tutto fuorché un aspetto anonimo. Un ottimo uso di musiche e montaggio, senza nulla togliere alla fotografia, fa sì che ci troviamo di fronte a un blockbuster di grande pregio che si distingue dal cinema di genere proprio per il suo stile, al punto da trasformarlo in un evento pop istantaneo.
Certamente la regista Gerwig non è una sprovveduta, e tutta la messa in scena è stata estremamente ragionata per far arrivare il suo lavoro alla più grande fetta di pubblico possibile. Sarebbe ingiusto sminuire il lavoro fatto con “Barbie” nella gestione di una massiccia macchina produttiva, quale è un blockbuster prodotto da una major. Se la forma e il contenuto sono assicurati, la proverbiale ciliegina sulla torta va ricercata nell’affiatata coppia di attori protagonisti.
La lancetta della bilancia pende ovviamente in favore di Margot Robbie, che finalmente dopo molto tempo si ritrova tra le mani un personaggio ben scritto che le permette di sfruttare il suo talento artistico, troppo spesso affossato dal suo innegabilmente non secondario aspetto fisico. Lei nei panni di Barbie è assolutamente a suo agio, come pure Gosling in quelli estremamente ironici di Ken, che sembra divertirsi nella decostruzione della figura dell’eroe maschile e sex symbol a cui deve gran parte della sua notorietà degli ultimi anni.
Non è sicuramente esente da difetti neppure questo “Barbie”. Tra questi sicuramente gli esiti del racconto e l’evoluzione dello stesso non risultano originali, ma sono comunque problemi di poco conto di fronte a uno spettacolo che scorre piacevolmente. Greta Gerwig già con “Barbie” riesce nel miracolo di mediare sapientemente tra esigenze produttive, necessità autoriali e stilistiche, andando ad intercettare sia il pubblico interessato al brand che quello più generalista, alla ricerca di due ore di spettacolo, a prescindere dal punto di partenza da cui questo prende vita. Difficile chiedere di più a una produzione simile.