Slumber: il demone del sonno

Slumber: il demone del sonno – Banale

La famiglia Morgan ha da poco perso un figlio. Dopo questo tragico evento iniziano ad avere disturbi del sonno. Sia i ragazzi che i genitori durante la notte sono affetti da sonnambulismo, che li porta a compiere gesti anche pericolosi per la loro incolumità. Chiederanno aiuto alla dottoressa Alice Arnolds, specializzata in disturbi del sonno. Ma col passare del tempo la scienza lascia spazio al folclore e all’idea che il figlio più grande dei Morgan sia tormentato da un demone che vuole ucciderlo mentre dorme.

slumber

“Slumber” ha principalmente due difetti. Il primo una sceneggiatura inconsistente, il secondo invece una protagonista, Maggie Q, che non è minimamente credibile nel ruolo. La premessa è di quelle invitanti, un horror basato sulla rottura della barriera che separa sogno e realtà. Purtroppo il regista Jonathan Hopkins non è Wes Craven e questo film non è “Nightmare”. Eppure l’incipit del film lascia ben sperare. Vediamo due ragazzini, una è la protagonista, che durante la notte vengono aggrediti da questo demone del sonno, causando la morte del babino davanti gli occhi impotenti della sorella.

Un horror che non spaventa e che per buona parte del tempo ci mette di fronte a scene deliranti, in cui vediamo questi poveri “attori” girare per stanze di casa o di ospedale con gli occhi chiusi e compiendo le azioni più improbabili (tipo prendere a pugni i muri o tagliare peluche con le cesoie per la siepe).

Subito dopo la ritroviamo da adulta dove vive una vita felice, nel lusso più sfrenato e che quasi nemmeno ricordo il trauma infantile. Già qui la storia tende a mostrare il fiato corto e si aprla della caratterizzazione della protagonista. Le cose poi continuano solo peggiorando. “Slumber” si sceglie di non sfruttare la dimensione onirica e quindi anche la creatura, rimanendo ancorati alla realtà. Il demone viene mostrato praticamente solo alla fine (per tutto il resto del film è un semplice filtro nero che chiude l’obbiettivo della macchina da presa), mentre la storia si snoda attraverso una barbarica messa in scena dei peggiori cliché.

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Hopkins non ha budget, ma forse nemmeno le giuste idee, per imprimere personalità al suo uomo nero (nemmeno lo scandaloso “Boogeyman” arrivava così in basso). Il risultato è un horror che non spaventa e che per buona parte del tempo ci mette di fronte a scene deliranti, in cui vediamo questi poveri “attori” girare per stanze di casa o di ospedale con gli occhi chiusi e compiendo le azioni più improbabili (tipo prendere a pugni i muri o tagliare peluche con le cesoie per la siepe).

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“Slumber” non è nemmeno una “occasione sprecata”, perché non ha niente che funziona se non l’assenza totale di personalità. Il film di Jonathan Hopkins ha un mostro che non si vede mai e quando lo vediamo preferivamo rimanere ignoranti, degli attori improponibili, uno scorrere della storia banalissimo e un finale prevedibile dopo la premessa iniziale. Ma proprio il finale ci riserva una sorpresa terrificante suggerendo che un seguito potrebbe essere possibile. Speriamo vivamente di no.

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1.5
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