Candyman – Tra leggenda e realtà
Insieme al celebre “Amityville” del 1979, “Candyman” rappresenta senza dubbio uno dei lavori più noti nella filmografia di Bernard Rose, regista britannico nato nel 1960 e ancora attivo. Tuttavia, la sua carriera dietro la macchina da presa mostra un altalenante livello di qualità. Il film trae ispirazione dal racconto “Il Proibito” di Clive Barker, uno scrittore del genere il cui passaggio al grande schermo ha avuto due esiti distinti. Da un lato, si sono avute produzioni mediocri a causa di budget limitati, incapaci di trasporre in immagini le complesse suggestioni evocate dalla narrativa cartacea. Dall’altro, invece, quando il materiale viene maneggiato da persone competenti che sfruttano appieno le risorse a disposizione, nascono opere diventate cult o addirittura classici del genere, come “Candyman”, “Cabal” o il primo “Hellraiser” (diretto dallo stesso Barker, il quale ha dato il via a una saga ancora in corso a quasi quarant’anni dall’esordio).
Nella prima metà degli anni novanta, il cinema horror ha intrapreso una fase di rinnovamento, superando gli iconici personaggi che lo avevano dominato nel decennio precedente. Figure come Freddy Krueger e Jason Voorhees, insieme ai loro epigoni, non attraggono più il pubblico come un tempo, spingendo così le produzioni del genere a evolversi per coinvolgere anche chi non sarebbe mai stato attratto da spettacoli simili. In quegli anni, sono emersi titoli come “Misery non deve morire“, “Il silenzio degli innocenti” e “Linea mortale”, che si rivolgono non solo agli amanti del brivido, ma anche a coloro che cercano storie più articolate, complesse e talvolta con una critica socio-politica, come nel caso di “Allucinazione Perversa”.
“Candyman” riscrive i canoni del mostro, presentando un uomo nero proveniente da un altro mondo, immergendosi nelle profondità del terrore psicologico. Il film di Rose mette al centro della storia una protagonista reale, costretta suo malgrado a confrontarsi con un orrore che va oltre i confini della realtà. Sullo sfondo, emerge una critica sociale nei confronti della piccola e media borghesia americana, che trova il proprio benessere a spese dei ceti sociali più svantaggiati.
Il racconto segue le indagini sulla leggenda metropolitana condotte dalla giovane studentessa Helen Lyle (interpretata da Virginia Madsen) e la storia di Daniel Robitaille (interpretato da Tony Todd), un pittore di colore del XIX secolo giustiziato per il suo amore con una donna bianca. Durante le indagini, Helen scopre che a Robitaille fu tagliata una mano e venne ricoperto di miele, attirando api che lo stingevano fino alla morte. Robitaille, di fronte allo specchio prima di morire, pronuncia la parola “Candyman”, il soprannome dato dai suoi aguzzini, intrappolando il suo spirito nello specchio. Helen e la sua amica, non credendo alla leggenda, invocano il nome di “Candyman” davanti allo specchio per cinque volte, catapultandosi in un incubo in cui realtà e leggenda si fondono.
Il film di Bernard Rose offre uno sguardo penetrante nella follia della mente umana, evidenziando la graduale disintegrazione del confine tra realtà e fantasia che la protagonista deve affrontare. Questo viaggio è incorniciato da un’estetica grezza che contribuisce a creare l’atmosfera giusta, ulteriormente valorizzata dalla straordinaria colonna sonora di Philip Glass. Virginia Madsen interpreta Helen con magnetismo, guidando lo spettatore attraverso gli angusti spazi del complesso residenziale di Cabrini Green, mentre Tony Todd conferisce al personaggio di “Candyman” una complessa ambiguità, trasformandolo gradualmente nel mostro assassino che conosciamo sin dall’inizio.
La maestria di Rose, sia come regista che sceneggiatore, si manifesta nel dosare le apparizioni di “Candyman” e nel destrutturare il mito intorno a lui, per poi riaffermare la sua natura mostruosa nel finale, sottolineando allo stesso tempo la sua drammaticità. Dal 1992, “Candyman” rimane un’efficace fonte di tensione, con un’estetica che, nonostante un modesto budget di produzione, continua a svolgere un ruolo cruciale nella narrazione. Un cult per gli amanti del genere, un film che merita più di una visione per apprezzarne appieno le qualità narrative, ben oltre la semplice storia di un mito urbano.