Le ragazze del Coyote Ugly – Flashdance vent’anni dopo
Il pubblico si divide sostanzialmente in tre categorie: gli amanti di “Dirty Dancing”, quelli di “Footlose” e chi si vergogna ad ammettere d’essersi divertito vedendo “Le Ragazze del Coyote Ugly” (ovviamente sto scherzando, esistono anche persone a cui hanno fatto schifo tutti e tre). Il film diretto da David McNally di fatto è la versione anni 2000 di “Flashdance” che, guarda caso, con il film dedicato alla ballerina che di giorno lavorava come saldatore in una sorta di acciaieria, condivide il produttore: Jerry Bruckheimer.
Scritto da Gina Wendkos a cui si devono numerose sceneggiature per la Disney come ad esempio “Pretty Princess”, il film racconta la storia della giovane Violet Sanford (Piper Perabo), che lascia padre e amiche nella cittadina di provincia dove è nata e cresciuta per trasferirsi a New York. L’obiettivo della giovane è quello di diventare un’autrice musicale, seguendo così le orme della madre cantante prematuramente scomparsa. Una volta arrivata nella grande mela Violet scoprirà che inseguire i propri sogni non è così facile, soprattutto quando non si conosce nessuno e le finanze scarseggiano (e ti dicono che per fare musica non hai bisogno di talento ma di un Mac).
Ogni momento della pellicola è così innocuo che trasforma “Le Ragazze del Coyote Ugly” in una visione non necessaria, ma comunque piacevole, a patto di non chiedere nulla di più a quella che è l’ennesima favoletta edonistica di una principessa che passa dalle stalle alle stelle.
Una mattina incontrerà il gruppo di bariste del “Coyote Ugly”, locale serale capitanato dalla bionda Lil (Maria Bello). Quest’ultima dopo averla messa alla prova assumerà Violet, che col tempo dovrà scegliere tra il lavoro, un amore appena iniziato e i propri sogni. Qualcosa andrà sforbiciato, ma farlo non sarà così semplice. “Le Ragazze del Coyote Ugly” seppur diverso nei toni è a tutti gli effetti “Falshdance” a parti invertite. Nel film della ballerina questa lavorava di giorno e inseguiva la sua passione la sera, qui avviene esattamente il contrario.
In entrambi i casi la storia vede la protagonista dover scegliere tra lavoro, amore e passione. In tutti e due i film assistiamo alla caduta e all’ascesa del personaggio principale, il tutto supportato da una colonna sonora che prevede hit musicali usate per descrivere gli stati d’animo della protagonista (ma anche per far schizzare la soundtrack tra i dischi più venduti portando ulteriore pubblicità al film stesso). Se in “Flashdance” il compito di trainare la pellicola oltre lo schermo c’erano i suoni elettronici della canzone di Irene Cara “Flashdance… What a Feeling”, qui fa capolino il calore country-pop di LeeAnn Rimes con il brano “Can’t fight the moonlight” (la cantante è presente in un “piccolo” cameo nel film).
Jerry Bruckheimer deve proprio aver pensato “squadra che vince non si cambia” e a vedere dai risultati al botteghino non ha sbagliato. Il film diretto da David McNally, la cui carriera non sarà mai ricordata per altro, rimane un titolo gradevole, ma che mostra anche tutti i limiti di un racconto completamente fuori tempo, che poggia le vicende della cantautrice Violet su di un immaginario troppo patinato e glamour per essere realmente credibile. Ciononostante ogni momento della pellicola è così innocuo che trasforma “Le Ragazze del Coyote Ugly” in una visione non necessaria, ma comunque piacevole, a patto di non chiedere nulla di più a quella che è l’ennesima favoletta edonistica di una principessa che passa dalle stalle alle stelle.