Argylle – Solo rumore
Per il regista inglese Matthew Vaughn, il film “Argylle – La super spia” rappresenta il più incredibile e spettacolare fallimento della sua carriera. Eppure, la pellicola contiene tutti gli elementi necessari per trasformarsi in un nuovo tassello della filmografia che si è sempre divertita a giocare e rimescolare le carte del cinema di genere. Basta pensare a quanto fatto con “The Kingsman” o “X-Men: l’inizio”, dove il regista ha saputo sfruttare la contaminazione per dare vita a dei blockbuster capaci di distinguersi da tutto ciò che li circonda, superando le “regole” segnate da chi ha precedentemente battuto la strada.
Fa quindi specie riscontrare come in “Argylle” il gioco allestito con lo spettatore finisca per affossare il racconto e appesantire lo sguardo, che fatica a trovare qualcosa di veramente interessante sotto un’estetica che non riesce a bilanciare reale e finzione, ambientazioni classiche in opposizione agli sconfinati scenari in computer grafica. Il film racconta la storia di Elly Conway (interpretata da Bryce Dallas Howard), che grazie al successo dei suoi romanzi dedicati alle avventure della spia Argylle (interpretato da Henry Cavill), si ritrova al centro di un complotto in cui due opposti gruppi d’intelligence si danno battaglia.
Entrambi vogliono capire come l’autrice riesca a dar vita a scenari geopolitici che si trasformano in realtà nell’immediato futuro, finendo per darsi battaglia pur di comprendere da dove derivi questa abilità, nel tentativo di reclutarla per i loro scopi. Al suo fianco, Elly avrà l’agente Aidan Wilde (interpretato da Sam Rockwell), un vero e proprio Argylle in carne e ossa, ma agli antipodi di quanto da lei idealizzato nei romanzi. Elly capirà ben presto che per rimanere viva dovrà affidarsi a Aidan, ma non tutto andrà come crede.
Con “Argylle”, Matthew Vaughn si concentra sulla decostruzione dell’immaginario della spia e del mondo che gravita attorno ad essa. I corpi perfetti di Argylle e dei suoi compagni finiscono per scontrarsi con una realtà in cui non conta la perfezione fisica ma la prontezza dell’azione. Troviamo quindi una spia il cui look è tutt’altro che irresistibile, ma capace delle più spericolate azioni, così come le femme fatale non hanno più necessariamente il corpo statuario, ma riescono comunque a trasmettere il proprio fascino anche attraverso qualche taglia in più rispetto al dogma hollywoodiano.
È proprio in questo ridiscutere degli archetipi che “Argylle” risulta maggiormente interessante, ma purtroppo nel farlo non trova un equilibrio tra gioco metacinematografico e messa in scena. Un abuso della computer grafica inizialmente funzionale alle azioni immaginarie della spia del romanzo, finisce per divorare la realtà, sostituendosi a ogni cosa in favore dell’evoluzione dell’immagine, facendo collassare l’intera produzione trasformandola in un baraccone kitsch da cui non c’è ritorno.
Il racconto annaspa e le buone idee affogano in momenti che sfociano nell’ordinarietà di un cinema di genere contemporaneo fuori controllo. A farne le spese sono gli interpreti che finiscono vittime di un green screen che non permette loro di passare dallo humor al dramma, facendo apparire costantemente fuori posto i personaggi che interpretano. Nelle oltre due ore di durata, “Argylle” riesce ad annoiare nonostante l’azione rutilante presente, e questo non è sicuramente un buon biglietto da visita per una pellicola che, purtroppo, vorrebbe anche dare via a una serie. Che il box office ci salvi da un futuro simile.