Ti mangio il cuore

Ti mangio il cuore – Ritorno al genere

Diretto da Pippo Mezzapesa (“Il bene mio”), tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, “Ti Mangio il cuore” rischia di venire ricordato più per l’esordio cinematografico della cantante Elodie, che per le sue discrete qualità come film di genere. Ispirato alla storia vera della pentita Rosa Fiore, la pellicola del regista barese immerge lo sguardo in un seducente bianco e nero, per raccontare la faida tra due famiglie rivali, che inizialmente sembra percorrere la tragedia di “Romeo e Giulietta”, ma ben presto cambia i toni soppiantando il dramma con la violenza e la furia vendicativa, trascinando i personaggi in una spirale in cui l’epilogo è uno solamente e ben chiaro fin dall’inizio.

Ti mangio il cuore

“Ti mangio il cuore” ci trasporta nel promontorio del Gargano dove da generazioni le due famiglie appartenenti alla mafia pugliese, i Camporeale e i Malatesta sono in lotta per il potere sul territorio. In mezzo a queste due c’è una terza famiglia, quella dei Montanari, la quale ha lavorato per ottenere una tregua alle lotte tra le altre due. Questo piccolo mondo poggia su di un delicato equilibrio che viene a mancare quando il giovane Andrea Malatesta s’innamora di Marilena Camporeale, la giovane moglie del boss rivale, ora latitante. Quando i due verranno scoperti, la rivalità tra le due fazioni si riaccenderà dando il via a una spirale di violenza e vendetta.

Ti mangio il cuore

Il lavoro di Pippo Mezzapesa pesca a piene mani nei film di genere italiani e, forse, non è il caso che in “Ti mangio il cuore” ci sia anche uno degli attori indiscussi del filone mafia-movie italiano come Michele Placido. Proprio la presenza, estremamente contenuta in termini di minutaggio, da parte di quest’ultimo sembra inserita a certificare le intenzioni del regista italiano nei confronti del racconto. Il disegno che muove la pellicola infatti non contempla l’introspezione dei personaggi e, soprattutto, non glorifica la violenza preferendo negarla allo sguardo in più occasioni, ma preferisce concentrarsi sul mettere in scena un microcosmo criminale trasformando la macchina da presa nell’ennesimo tirapiedi di una delle due famiglie.

Ti mangio il cuore

Questa scelta paga però solo in modo alternato, infatti i cali di ritmo in “Ti mangio il cuore” sono spesso vistosi. La tensione troppo spesso latita quando invece dovrebbe assalire lo sguardo e le emozioni faticano a esplodere al di fuori dello schermo. Il bianco e nero che dona alla pellicola una precisa identità visiva, sulla lunghezza si rivela solamente una scelta di stile, come pure la quasi assenza di musiche a supporto delle immagini. Gli interpreti coinvolti sono tutti incredibilmente convincenti e questo diventa il vero motivo attrattivo di “Ti mangio il cuore”, film riuscito ma che purtroppo non ha la forza necessaria per essere ricordato una volta riaccese le luci della sala.

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