Pain & Gain

Pain & Gain – Michael Bay, la cronaca e l’umorismo nero

Tratto da un fatto realmente accaduto, “Pain & Gain” allontana il regista Michael Bay dal gigantismo dei blockbuster moderni, intrisi di mascolinità ed esplosioni, trasportandolo sulle rive ben diverse per tempi e dimensioni della black comedy. Adattamento degli articoli scritti da Pete Collins riguardanti un gruppo di culturisti di Miami che, per inseguire i propri sogni, diventano criminali, il film per toni e tipologia del racconto si allontana così tanto dalla “comfort zone” del cineasta americano che, da un lato, conferisce curiosità e aspettative al progetto, dall’altro accende qualche perplessità riguardo all’esito, vista anche la predisposizione di Bay a preferire la costruzione dell’immagine allo sviluppo congruo di una narrativa solida.

Pain & Gain

“Pain & Gain”, però, nonostante sia ben lontano da una qualsivoglia forma di perfezione, si rivela uno dei modi migliori per raccontare una storia reale che sembra impossibile sia accaduta. La pellicola racconta le vicende di Daniel Lugo, un personal trainer di Miami stanco di vivere nella povertà e desideroso di conseguire il sogno americano di benessere e successo. Decide assieme all’amico Adrian Doorbal e all’ex criminale Paul Doyle di rapire un benestante cliente della palestra dove lavorano e si allenano, tale Victor Kershaw, un uomo d’affari dai modi assai poco garbati. Dopo averlo rapito e costretto a intestare loro tutto quello che possiede, i tre si libereranno di Kershaw inscenando la morte di quest’ultimo, ma non tutto andrà come previsto.

Pain & Gain

Dopo anni in cui ha incassato produzioni dalle dimensioni gigantesche, culminando con il successo ottenuto con la saga di “Transformers”, Michal Bay si dedica a questa produzione dal budget contenuto, appena 26 milioni di dollari, per dare vita a un film cinico e divertente, ma anche stupido e superficiale. “Pain & Gain” è una commedia grottesca in cui il regista sembra concentrato sulla necessità di trasportare sullo schermo la stupidità del gruppo di criminali attraverso l’esasperazione totale del mezzo cinematografico. Dal montaggio vorticoso all’utilizzo di vari formati di ripresa, Bay sembra cercare qualcosa nei personaggi che non riesce mai a restituire perfettamente sul grande schermo, nonostante gli sforzi messi in campo a livello visivo.

Pain & Gain

Per ovviare a questo, “Pain & Gain” si rifugia sullo sfondo, nella visione idealizzata di Miami che solo il regista losangelino riesce a sintetizzare con perfezione maniacale. Ancora una volta, colori eccessivi, solarizzazioni, campi larghi e stretti senza soluzione di continuità mantengono l’attenzione dello spettatore, nonostante il fatto che ciò che si trova di fronte sia più interessante dal punto di vista estetico che contenutistico. “Pain & Gain” è interessante come manifesto di un’estetica in declino, orgogliosamente a cavallo tra la fine dei ’90 e l’inizio degli anni 2000. Allo stesso tempo, è il film definitivo del suo protagonista, Mark Whalberg, che ritrova nel suo personaggio le proprie origini come uomo di spettacolo.

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