Il pubblico diserta la sala o è stanco di certi titoli?
Il fatto che ci sia una crisi di pubblico nelle sale cinematografiche non lo scopro sicuramente io oggi, come pure voi che leggete. Quello che leggiamo molto spesso è che questa sia legata al lockdown del 2020 e tutte le successive restrizioni a singhiozzo. Sembra che sia un fenomeno per lo più italiano quello che ha portato il pubblico a disertare la sala a favore dello streaming, ma siamo davvero sicuri che sia così? I dati dei vari Netflix e Disney+ confermano che l’industria dello streaming questa industria sia, quasi sempre, in costante crescita, andando a discapito dello spettacolo in sala. Ciononostante i dati non trovano una convergenza.
Al contrario c’è la conferma che praticamente solo alcune tipologie di titoli riescano a fare il tutto esaurito nelle sale. È sotto gli occhi di tutti come a incassare siano quasi solo i film di supereroi. Gli exploit di “Spider-Man: no way home” e del recente “Doctor Strange nel multiverso della follia“, dimostrano che c’è una larga fetta di pubblico che in sala ci va. Il vero problema è come riportarlo al cinema quando non ci sono pellicole legate a determinati franchise. Ad esempio ci sono stati tutta una serie di titoli, dai budget tutt’altro che modesti che al botteghino non hanno incontrato l’interesse del pubblico.
Magari non hanno flottato, ma sicuramente hanno deluso sul fronte degli incassi totali. Giusto per fare qualche esempio, in questo 2022 sono usciti “Matrix Resurrections”, “The King’s Man – Le origini“, “Assassinio sul Nilo“, Animali Fantastici – I segreti di Silente”, “Uncharted” e molti altri. Solamente pochi di questi si sono rivelati dei successi al botteghino. A Prescindere dalla qualità dei titoli citati, nessuno di questi ha realmente incassato come previsto. In alcuni casi ha influito l’uscita contemporanea tra sala e streaming casalingo (Matrix), in altri il disinteressamento generale da parte del pubblico (The King’s Man).
Sembra quindi che le case di produzione non riescano più a intercettare le persone a cui i loro film si rivolgono, oltre al fatto di non riuscire a ottenere un prodotto di una certa qualità a fronte di budget milionari (basti pensare a “Assassinio sul Nilo” o “Uncharted”, due film veramente mediocri). Anni e anni di film sufficienti spacciati come buoni, se non ottimi o capolavori nei casi più estremi, hanno educato in modo malsano i gusti del pubblico, che ora è attirata dall’evento creato su misura dagli uffici di marketing attorno al titolo piuttosto della qualità dello stesso.
Che la qualità media delle grosse produzioni americane si sia abbassata negli anni, non è sicuramente una novità, ma che il pubblico con il tempo riabilitasse la pochezza che le contraddistingue è un evento del tutto inaspettato. Eppure nelle sale è arrivato un titolo, che sulla carta sembrava essere l’ennesima operazione nostalgia, di fatto lo è, ma per una volta si ricorda di essere anche un film di buona qualità. Mi riferisco a “Top Gun – Maverick” che è una pellicola ben fatta, che ha messo d’accordo critica, pubblico e botteghino (vista la tenuta degli incassi sul periodo medio lungo).
Il film con Tom Cruise, esce esattamente nel momento migliore, quando i film di supereroi mostrano dei segni di cedimento al box office (non che non incassino a dismisura, ma è innegabile che si sia raggiunta una sorta di “stabilità”). Il seguito del film di Tony Scott ha dimostrato che c’è una buona fetta di pubblico interessata a tornare al cinema, purché questo gli dia una scelta diversa e ben confezionata, senza passare dalla visione di un imprecisato numero di pellicole e serie televisive per godere appieno dello spettacolo. Quindi il “cinema industriale” funziona ancora purché sia realizzato con la qualità tecnico narrativa che gli si richiede.