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Carlito’s Way
di Brian De Palma
La storia in breve…
Charlie Brigante (Al Pacino), detto Carlito, ex signore della droga a New York, riesce ad uscire di galera dopo cinque anni. Il suo amico avvocato Kleinfeld (Sean Penn) sfrutta alcuni cavilli legali che annullano la condanna del criminale. Libero e redento Carlito non vuole ritornare a fare il gangster, ma insegue il sogno di una nuova vita alle Bahamas. Per farlo inizierà a gestire un club di proprietà di Kleinfeld, in modo da mettere assieme la somma di denaro che gli permetterà di andarsene. Nel frattempo ritrova la bellissima Gail (Penelope Ann Miller), l’amore della vita, che convincerà a seguirlo quando lascerà la città. Purtroppo però sarà proprio per aiutare Kleinfeld che Carlito si ritroverà nuovamente a fare i conti con un mondo che sta tentando di abbandonare, ma che suo malgrado diventerà un ostacolo con cui confrontarsi.
Questa è la mia vita. Io sono come sono nel bene e nel male. Non posso farci niente.
Il Film
Dieci anni dopo “Scarface”, Brian De Palma e Al Pacino si ritrovano nuovamente a lavorare assieme e ancora una volta raccontando la storia di un criminale. In “Carlito’s Way” il regista americano sfrutta la sua abilità per raccontare una storia di negata redenzione. Ancora una volta le immagini riescono a dare spessore ad una trama che seppur ben scritta, risulta inequivocabilmente canonica nel genere di appartenenza, ma per essere precisi, è la struttura narrativa ad essere di stampo classico. De Palma fa muovere i suoi personaggi in una New York che sembra familiare, ma allo stesso momento fuori da ogni tempo. La violenza in “Carlito’s Way” seppur presente, lascia lo spazio a una “romantica” ricerca di redenzione che il suo protagonista vuole veramente e che lotta in ogni modo, anche con i suoi stessi codici morali, per ottenerla. Lentamente nasce la speranza che possa veramente riuscire nel suo intento, perché il regista riesce a vendere il sogno del suo protagonista a chi sta dall’altra parte dello schermo, nonostante la chiosa finale sia scontata già dai titoli di testa. Forse è proprio quel bellissimo piano sequenza in bianco e nero, che lentamente incontra il colore, dove si può trovare la chiave di lettura dell’intero film: il ribaltamento del racconto.
Carlito interpretato da un incredibile Al Pacino, pur essendo un criminale di fatto diventa l’eroe, mentre le figure che dovrebbero assicurare la legalità come l’avvocato Kleinfeld, interpretato da un Sean Penn al suo meglio, diventano i nemici da battere. Tutto nel film di De Palma è esattamente opposto al classico stereotipo del gangster movie, l’abilità del cineasta si erge sopra ogni cosa trasformando un viaggio lineare verso derive conosciute, in un compatto e sentito percorso tra i sentimenti di un uomo il cui passato tradisce il futuro. Perennemente vestito di nero, il protagonista sembra effettivamente fuori posto in una New York che alterna i neon dei locali all’oscurità delle strade, in mezzo alla ribalta a causa di un passato che lo ha fatto diventare mito, ma che sta schiacciando quasi ogni sua possibilità di cambiamento. Forse Carlito è l’incarnazione di De Palma regista che porta il fardello delle sue opere precedenti, così pesante da rendergli impossibile apparire in modo diverso di fronte al pubblico, costringendolo a ripercorrere e riscrivere gli stilemi che lo hanno reso famoso (non è un caso che Carlito sia compia un percorso opposto al Montana di Scarface). Ma questa è una visione dell’opera, seppur seducente, rimane nella testa di chi l’ha appena scritta.
Sì, ho avuto un sogno, Charlie. Ma ora sono sveglia. E lo odio quel mio sogno.
Appunti: un classico sottovalutato
Il cinema di De Palma non esiste più nel 2020, ma è “clinicamente” morto negli anni alla fine degli anni ’90. Il cineasta come la quasi totalità dei registi della “New Hollywood”, non lavora praticamente più. Qualcuno potrebbe anche sollevare la sterile questione che le ultime pellicole come ad esempio “Femme Fatale” o “Black Dahlia”, giusto per citarne due, non siano certamente dei titoli indimenticabili. Ma sapete, non conta. La verità è che anche in film “blandi” lo stile del cineasta è sempre ben visibile. Subliminale nella composizione delle immagini, il cinema di De Palma, molto più di quello di suoi illustri colleghi come Martin Scorsese o Steven Spielberg, si è da sempre contraddistinto per una narrazione forte di una sinergia assoluta tra testo ed immagini. Ne è la prova che una pellicola come “Carlito’s Way”, dove una sceneggiatura asciutta scritta da David Koepp, viene da una parte esaltata dalla fotografia di Stephen H. Burum (Mission: Impossible) e dall’altra, esaltata da scelte di regia e montaggio capaci di tirare fuori il meglio dagli attori, ma allo stesso tempo di creare un piccolo mondo criminale di assoluta perfezione stilistica. Oggi un film dalle tinte drammatiche con le dimensioni produttive di “Carlito’s Way” è praticamente impensabile. Il pubblico ha cambiato i propri gusti e difficilmente uno studios investirebbe cospicue somme di denaro, per produrre una pellicola dal sicuro fallimento al botteghino. Già allora di fronte ad un budget di circa trenta milioni, la pellicola fatico a pareggiare il costo nelle sale americane, nonostante l’accoglienza più che buona della critica e del pubblico.
De Palma più di altri cineasti ’70-’80, sembra abbia sofferto maggiormente la necessità di trovare una quadratura tra le personali esigenze artistiche e le richieste dei grossi studi di produzione. “Carlito’s Way”, che precede il grande successo al botteghino del regista di qualche anno dopo, ossia il primo “Mission: Impossible”, l’ho sempre considerato l’ultimo lascito di un cinema estinto, fatto di produttori che ogni tanto non avevano paura di rischiare con qualcosa che andasse controcorrente. Costruito su visioni autoriali a volte anarchiche altre decisamente commerciali e su di una classe attoriale capace di fare veramente la differenza. Ora che le sale sono invase da film in cui l’abuso di computer grafica rende sempre più sottile il confine tra recitazione e animazione. Ora che un attore defunto può apparire a piacimento grazie alla tecnologia digitale. Ore che degli attori anziani possono essere “svecchiati” in base alla necessità, “Carlito’s Way” risplende di una forza narrativa e di una potenza visiva, che lo rende una piccola gemma da scoprire di visione in visione come fosse la prima volta. Forse non sarà un capolavoro, ma sta di fatto che a quasi trent’anni dalla sua uscita nelle sale, il film di De Palma sembra provenire dal futuro e non dal 1993.