C’era una volta a… Hollywood

C’era una volta a… Hollywood – La mecca del cinema sognata da Tarantino

Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) è una star della televisione che nel periodo di maggior successo ha tentato con poca fortuna la strada del cinema rovinandosi la carriera. Ora assieme al suo amico, nonché controfigura personale, Cliff Booth (Brad Pitt), sta lentamente contemplando il proprio declino. Nella Hollywood di fine anni ’60, l’industria è in rapido cambiamento così come la società che sta vivendo il fenomeno culturale legato alle comunità hippies. Rick in preda alla depressione per i ruoli sempre più marginali che gli vengono assegnati, vede come unica ancora di salvezza andare a girare film in Italia dove il genere spaghetti western sta spopolando. Un giorno però, vicino a casa sua andra ad abitare la coppia più chiacchierata del settore, Roman Polansky e Sharon Tate (Margot Robbie), facendogli sperare che un incontro con loro gli svolti vita e carriera.

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“C’era una volta a… Hollywood” non è una lettera d’amore a un periodo preciso dell’industria cinematografia e dell’America stessa, ma ne è la riscrittura sognante dove il cuore comanda il racconto senza mai schiacciarlo.

“C’era una volta a… Hollywood” non mente le aspettative del titolo che porta. Il nuovo film di Quentin Tarantino impiega una durata di quasi tre ore per mettere in scena il sogno inseguito da tutti coloro che vivevano dentro e fuori l’industria cinematografica di quella speciale decade. Il regista americano si smarca fin da subito dalla frenesia della messa in scena tipica dei suoi lavori precedenti, sottolineando già nella sequenza iniziale come il ritmo del film sia molto più compassato. Non lento, non dilatato, compassato. Serve tempo alla pellicola per far immergere lo sguardo in essa, ma dopo qualche minuto l’eleganza dei movimenti di macchina fa completamente dimenticare che tutto quello che si sta vedendo è opera di fantasia. “C’era una volta a… Hollywood” non è una lettera d’amore a un periodo preciso dell’industria cinematografia e dell’America stessa, ma ne è la riscrittura sognante dove il cuore comanda il racconto senza mai schiacciarlo.

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Quentin Tarantino non dirige un film nostalgico, ma anzi la sua nuova pellicola è estremamente moderna e piantata nella società attuale, riportando il contesto politico all’interno del racconto, puntando il dito sulle miserie di un popolo che ha bisogno, ieri come oggi, di una bambina che indichi la strada giusta da intraprendere, di anziani che mantengano i più giovani dando vita a una pigra immobilità che tende ad azzerare qualsiasi azione, o peggio, quando intrapresa sfocia in scelte sbagliatissime. “C’era una volta a… Hollywood” è un enorme elogio alla fantasia narrativa trapassato trasversalmente dalla figura di Sharon Tate, unica bussola del reale che paradossalmente finirà proprio per venire cannibalizzata anch’essa dalla finzione in un preciso momento del film, esattamente quando deve accadere (non è un caso che per tutta la pellicola lei non incontri e sia ritrosa a volerlo fare, il suo vicino di casa).

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In questa ultima pellicola Quentin Tarantino sfoggia anche una eleganza formale nella messa in scena che apre il cuore da tanto sia esaltante nella sua semplicità. Il ritmo della pellicola seppur compassato è denso e via via più indiavolato, ma il regista dimostra di averne un comando totale tramite scelta di inquadrature, musiche e montaggio. Rispetto agli esordi, o a quel fulmine a ciel sereno che fu “Bastardi senza gloria”, questa nuova pellicola di Quentin Tarantino ha un incedere ben diverso e mostra una maturità autoriale talmente lucida nell’assumersi il rischio del cambiamento, che stupisce per la calma con cui riesce ad attuarlo.

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“C’era una volta a… Hollywood” cambia ogni cosa, rimodella il cinema del cineasta pur conservandone tutti i tratti distintivi, regala ai sui attori dei personaggi indimenticabili e allo schermo una parabola che vale la pena di vedere e rivedere per apprezzarne i dettagli. Nella pellicola più politica del regista americano (cosa da sottolineare soprattutto oggi in cui il dato politico non è mai stato così importante nella società e lontano dall’industria allo stesso tempo), quest’ultimo ci ricorda che la magia del cinema è ancora possibile ed è difficile credere che siano rimasti così in pochi capaci di metterla in scena. Non resta altro per riassumere il gradimento e se non citare le parole di Marvin Shwarz, il personaggio interpretato da AL Pacino: ” Tutti quei morti…. Adoro questa roba!.”. Noi come lui adoriamo, oggi un po’ di più, il cinema di Tarantino.

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