Signs – Tutto è voluto?
“…quello che devi chiederti è che tipo di persona sei? Sei di quelli che vedono segni, che vedono miracoli; o pensi che sia solo il caso a governare il mondo? Insomma in altri termini … è possibile che le coincidenze non esistano?”.
In queste “semplici” frasi che Mel Gibson pronuncia a Joaquin Phoenix scorgiamo l’architrave portante di “Signs”, terzo film del regista M.Night Shyamalan, questa volta alle prese con un’invasione aliena che cambierà per sempre le vite dei protagonisti. Graham Hess (Mel Gibson) si sveglia una mattina come tante nella sua vita, ma questa volta il grido della figlioletta lo farà uscire di corsa dalla porta di casa per raggiungerla. Trovata la bambina e il fratello nel campo di grano che circonda l’abitazione, i suoi occhi vedranno una cosa incredibile. Una enorme figura geometrica è stata ricavata spezzando i gambi delle piante apparentemente senza uno scopo preciso.
In un paio di giorni Graham scoprirà come questi strani avvenimenti stiano accadendo in tutto il mondo; se inizialmente questa poteva sembrare un’opera vandalica o uno scherzo di cattivo gusto, con il dipanarsi degli eventi, sarà costretto a credere alle notizie che uniscono questi fatti inspiegabili ad un’imminente invasione aliena ai danni del pianeta terra. Abbandonato il thriller soprannaturale (Il Sesto Senso), messa da parte la passione per gli eroi dei fumetti (Il Predestinato), Shyamalan con “Signs” porta sotto i nostri occhi, tramite il classico cliché dell’invasione aliena, il terzo capitolo di una non dichiarata trilogia “dell’animo”. Come nei precedenti film anche qui siamo alle prese con un protagonista che rinnega la sua natura in seguito ad un tragico avvenimento.
Il vero nemico del personaggio interpretato da uno spento, ma per questo assolutamente in parte, Mel Gibson non è l’alieno invasore del suo domicilio, ma lui stesso, il suo animo, la sua spiritualità, la perdita interiore della speranza non solo di vivere, ma anche di credere a qualcosa d’inspiegabile. E per fare questo il regista mescola l’intimità familiare con un evento di scala mondiale ed inspiegabile come l’invasione aliena. Nelle quasi due ore di film non troveremo risposta sui perché gli extraterrestri vogliono attaccarci, nemmeno capiremo se i segni presenti nei campi di granturco siano stati fatti da loro, o da qualcuno di indefinito per metterci in guardia del pericolo.
Nelle quasi due ore “Signs” ci porrà in mille modi la stessa domanda che trovate citata all’inizio di questo scritto: “…è possibile che le coincidenze non esistano?”. La risposta al quesito alberga in ognuno di noi e il film farà di tutto per strapparla dall’angolo del nostro io in cui risiede. Come detto prima questo è il terzo film del regista indiano che torna sull’argomento dell’accettazione interiore, questa volta però, usa come struttura visiva e narrativa i film di fantascienza stile anni ’50. La tessitura della vicenda è la classica dei precedenti film, colpo di scena finale compreso, ma stavolta la ricetta non è riuscita come nelle precedenti infarinature.
Shyamalan mette molta carne sul fuoco, con la conseguenza di bruciare alcuni spunti interessanti, come i segni nel grano, o l’attacco alieno alla casa, che a parte dieci minuti di elettrizzante suspence dà l’impressione di un inserimento forzato per garantire la riuscita del finale. Purtroppo un film non può vivere solo di contenuti e “Signs” è la prova che non tutte le ciambelle vengono col buco. Un vero peccato perché l’idea è originale, la cura dei dettagli encomiabile, la storia crea il giusto interesse, ma alla fine dopo aver ascoltato per l’ennesima volta la paternale sul perché delle cose e l’imprevedibilità degli eventi, la noia arriva mietendo l’attenzione.