Hero – Tutti i colori del wuxia
La Cina è divisa in sette regni. Il bellicoso sovrano di Qin vuole ottenere il dominio sugli altri unificandoli formando un’unica nazione. A bloccare il suo sogno un gruppo di eroi guerrieri, capaci con le loro abilità nel combattimento di contrastare l’avanzata bellicosa del regnante. Un giorno uno straniero senza nome si presenta al sovrano affermando di aver sconfitto i tre più temibili combattenti delle terre vicine. Cielo, un maestro della lancia, Neve che vola, una spadaccina senza eguali e per ultimo, Lama spezzata, maestro nell’arte della spada. Lo straniero porta con se le armi di questi come prova delle gesta compiute. Inizierà quindi il racconto degli avvenimenti, ma quello che sembra essere un eroe nasconde più di una verità.
“Hero” è il film di rottura nel cinema del regista cinese Yimou Zhang. Da sempre fine autore di pellicole molto intime tra cui “Lanterne rosse” e “La strada verso casa”, approda proprio con questo film al genere wuxia e la fa con il maggior “rumore” possibile. “Hero” non è sicuramente una pellicola che passa inosservata, sia all’interno della filmografia del regista, ma anche da un punto di vista estetico. Quest’ultimo talmente enorme da divenire il tratto distintivo tra questa pellicola e tutte quelle venute prima o arrivate dopo.
E’ anche il film in cui l’ambizione, la voglia di stupire lo sguardo del regista si palesa in tutta la sua incontenibile grandezza (non a caso è la persona scelta dal comitato olimpico per dirigere la cerimonia di apertura a Pechino nel 2008). Derivato e al medesimo tempo “nuovo”, il film diretto da Yimou pesca idee un po’ ovunque dal cinema cinese, Kurosawa in primis, ma rielabora tutto attraverso una propria sensibilità, racchiudendo tutto in una confezione talmente rifinita da non lascire quasi spazio a critiche.
Il film che procede attraverso il racconto flashback dello straniero e le supposizione del re di Qin, si colora in modo diverso ad ogni svolta della storia, sottolineando i sentimenti che guidano le azioni dei protagonisti. Il direttore della fotografia Christopher Doyle viene lasciato a piede libero, componendo un quadro visivo di bellezza e intensità rare (in più punti si ha la sensazione di trovarsi di fronte ad un qaudro). A tratti sembra quasi che sia egli stesso il regista, ma sempre quando il tecnicismo sta per divenire fine a se stesso, Yimou riprende saldamente il comando riportando la narrazione su un piano decisamente meno astratto.
Con “Hero” Yimou Zhang trova il giusto equilibrio tra autorialità e intrattenimento, ma allo stesso tempo limando la storia in diversi punti, trasforma il suo film in un prodotto universale. La riflessione si sposta molto presto dalla figura dell’eroe, alla necessità dell’atto eroico, cosa comporta tale scelta da parte di chi la compie e su quanto questa possa essere determinante per cambiare un destino.
Nel cercare di dare risposta a questo, il film mette in discussione certezze e presunte verità, invita a cercare un punto di vista proprio rispetto ai fatti narrati, ricordando come molto spesso gli opposti sono tali pur perseguendo il medesimo obbiettivo, pur condividendo lo stesso sogno. Non è “Hero” un film privo di difetti, in alcuni punti il meccanismo narrativo sembra un po’ accartocciarsi su se stesso, ma diventano trascurabili di fronte alla maestosità dello spettacolo.