Amore, cucina & curry – La vittoria dei buoni sentimenti
Dopo aver visto questo film non era minimamente mia intenzione dedicargli un qualsiasi tipo di commento. Questo perchè “Amore, cucina e curry” rientra tra quelle commedie romantiche che cozzano con il cinismo del mio carattere. Trascorso qualche giorno, dopo essermi disintossicato con una cura a base di “Psycho” e “Terminator”, ho deciso comunque di ritornare su questa decisione e dedicargli qualche ironica riga, un po’ per combattere la mia pigrizia cronica, un po’ perchè non avevo altro da fare. Dunque quanto vi apprestate a leggere è la prova di come io riesca a impiegare malamente il mio tempo libero, formulando inutili elucubrazioni e sparando una marea di cavolate.
Nel 2007 quel geniaccio di Brad Bird invadeva, grazie alla Pixar, i cinema con quella perla d’animazione intitolata “Ratatouille”. La parabola del ratto Remy era, ed è ancora oggi straordinaria, “semplicemente straordinaria”, in una unica soluzione rivitalizzò come mai prima il sodalizio cinema/cucina instillando nella cultura popolare una nuova percezione del cibo. Il vero innesto cinematografico quindi non lo fece Nolan con il suo pistolotto mentale sui sogni, ma Bird anni prima facendo uscire dallo schermo tutto l’amore per la materia trattata, “contagiando” coloro che entravano in contatto con essa.
Oggi possiamo considerare “Ratatouille” un punto zero, la vera e propria scintilla culturale che ha trasformato una moltitudine di persone in cuochi provetti, mettendo fine in un paio di anni al mito di: “come cucina mia mamma, nessun’altro”; sostituendolo in fretta e furia con i vangeli secondo Ramsey, Cracco o Cristina Parodi (che comunque hanno tutti il grande merito di aver reso interessante il piatto palinsesto televisivo). Dopo il lungometraggio Pixar, sono esponenzialmente aumentati i corsi di cucina, le trasmissioni sull’argomento, sono nate nuove tipologie di show e concorsi.
Fate mente locale e constaterete come prima del 2007 (almeno qui in Italia), tutto quello che gravitava attorno al mondo del cibo e della cucina non veniva spettacolarizzato come oggi. Ovviamente il cinema si è subito allineato alla tendenza ed infatti ha iniziato a proporre sull’argomento pellicole di ogni tipo, alcune carine, altre del tutto superflue (i produttori quando si tratta di calvacare un’onda di successo non si lasciano sfuggire nemmeno una occasione buona o meno che sia).
Ed ora che in libreria i ricettari sono i nuovi best sellers, non ci stupisce vedere cuochi pubblicizzare qualsiasi cosa (dai bracciali alle patate in sacchetto), come è ormai consuetudine vedere uscire al cinema almeno un film al mese in cui viene raccontata la storia di un cuoco, di un ristorante, o di una persona qualsiasi che grazie a una padella e molta costanza arriverà a conquistare i suoi sogni (come nel caso del protagonista di “Amore, cucina e curry” Hassan Kadam). Sono quasi sicuro che prima o poi vedremo pure un film catastrofico di Emmerinch a tema, magari una versione dark e seriosa di “Piovono polpette“.
E in questa follia collettiva a base di carne, pesce e spezie, arriva pure la Dreamworks di Spielberg che reclutando in regia Lasse Hallström, mette in scena la storia della famiglia immigrata Kadam, la quale dall’India finisce per aprire un ristorante indiano proprio in Francia (patria del buon cibo come ci viene ricordato più volte), di fronte ad un altro esercizio simile ma stellato (per la serie le scelte di marketing sono il nostro forte, ma anche per spiegare ste benedette stelle Michelin), le cui fila sono tenute assieme nientemeno che da Helen Mirren (e lei comunque da sola vale la visione del film, tanto è brava a non fare diventare una macchietta un personaggio che di fatto lo è).
Ora dopo esserci sorbiti un inizio in stile cartolina su quanto bella e brutale sia l’india, sul fatto che cuochi si nasce e non si diventa (spiegatoci per bene nella prima sequenza della pellicola a base di ricci di mare), che i francesi sono tutti cortesi e parlano anche lingue diverse dalla propria, il film entra nel vivo e ci tira la prima mazzata.
Dopo aver messo a dura prova l’attaccamento del nostro sedere alla poltrona nella parte iniziale, ci ritroviamo a seguire le gesta del protagonista Hassan, che trasformano il film in una sorta di “Ratatouille” ibridato a “Master Chef” (e la scena in cui Hassan guida la Mirren nella creazione di una omelette è presa paro paro dal topo della Pixar), il tutto condito con l’estetica pubblicitaria da “Mulino Bianco”, tanto che da un momento all’altro se Antonio Banderas entrasse in scena assieme a Rosita nessuno rimarrebbe stupito.
Mentre tutto questo si svolge davanti ai nostri sguardi, cresce il desiderio di correre per la sala urlando e sbattendo la testa ovunque. Ma quando stiamo per farlo, il film riaccende l’attenzione giocandosi “la carta dell’ingrediente segreto”( credetemi erano dai tempi de “La signora minù” o “Asso” con Celentano che non vedevo una cosa del genere). A questo punto, o uno esce dalla sala, oppure subisce fino alla fine questo minestrone “politicamente corretto” che è “Amore cucina e curry”.
Ora non è che il film sia da buttare, ma di certo non basta Helen Mirren a trasformarlo in qualcosa che non provochi, almeno nel sottoscritto, incubi o irritazioni cutanee come fece all’epoca “Chocolate” anch’esso diretto da Lasse Hallström… come dite, il film con Jhonny Deep che interpreta uno zingaro (praticamente fantascenza) e la Binoche che revisiona a base di cioccolato il personaggio di Mary Poppins è tra i vostri preferiti?
Allora è inutile che stiamo a discutere, correte a vedere “Amore cucina e Curry”, magari con un sacchetto di pan di stelle al posto dei pop-corn, perchè è proprio il fim che vi meritate, perchè uscirete scoppiettanti dalla sala, dirigendovi magari nella più vicina libreria per acquistare l’ennesimo ricettario. Io nel frattempo per continuare la disintossicazione andrò a mangiarmi un bel Big Mac, alla faccia di Spielberg, Ramsey, lo scalogno e dell’ennesimo film in cui passione e amore portano il protagonista dalle stalle alle stelle.