Hulk – Contrastanti sensazioni
Esperimento di messa in scena interessante quello tentato da Ang Lee con la trasposizione cinematografica di “Hulk”. Eroe dei fumetti che ha goduto di una discreta popolarità negli anni ‘70 grazie a un serial televisivo in cui il culturista Lou Ferrigno, ricoperto di trucco dalla testa ai piedi, dava fisicità alla iconica figura verde di casa Marvel. Dopo il successo dello “Spider-Man” diretto da Sam Raimi, era solamente questione di tempo prima che qualche altro eroe si allontanasse dalle pagine dei fumetti per approdare sul grande schermo. Ma se l’approccio usato per l’uomo ragno è una ricerca di equilibrio tra necessità artistiche e produttive, in questo “Hulk” le prime hanno avuto la meglio sulle seconde.
“Hulk” racconta la storia del giovane scienziato Bruce Banner (Eric Bana), che per salvare un collega di laboratorio, finisce per rimanere esposto a una quantità letale di radiazioni. Seppur salvo Banner non è rimasto incolume dall’incidente. Ogni volta che si ritrova in balia di forti emozioni come la rabbia, si trasforma in una gigantesca creatura verde incontrollabile e inarrestabile che il governo vuole studiare per ricavarne un’arma. Assieme alla collega, la dottoressa Betty Ross (Jennifer Connelly), Banner cercherà di trovare un rimedio alla condizione in cui si trova, ma nel farlo una figura che arriva dal passato, suo padre, porterà a galla ricordi che metteranno a dura prova i sentimenti del giovane scienziato.
Quasi tredici anni di pre-produzione, uno stuolo infinito di sceneggiatori e registi che hanno via via rinunciato al progetto, sono serviti alla Universal Pictures prima di trovare in Ang Lee la persona giusta a cui assegnare “Hulk”. Se da un lato la gestazione travagliata del progetto si percepisce in alcuni momenti del racconto, dall’altro il regista taiwanese non lesina in personalità nel portare sullo schermo la propria idea di cosa significhi dare vita a una tavola bidimensionale. Fin dai primi momenti “Hulk” mette di fronte allo sguardo soluzioni visive elaborate e personali che non lasciano di certo indifferenti. Su tutte spicca un montaggio serratissimo che tenta di restituire le sensazioni che si provano con le tavole a fumetti.
Nelle poco più due ore “Hulk” procede con un ritmo spedito, concedendosi pochissimi cali di ritmo e quando lo fa per esigenza narrativa, iniziano a comparire le crepe di una storia dalla gestazione travagliata. Se lo spettacolo è garantito per la quasi totalità dalle sequenze d’azione in computer grafica, il dramma che investe la figura di Bruce Banner finisce per essere il punto debole dell’intera pellicola, quando tutto in realtà gira attorno ai traumi infantili del personaggio. Anche il rapporto tra il protagonista e la ex fidanzata Betty Ross rimane superficiale, risultando un riempitivo più necessario che utile. A funzionare incredibilmente bene è il rapporto tra i due Banner, padre e figlio.
I personaggi donano al film lo spessore che lo salva dalla totale superficialità. Ancora una volta il cinema di Ang Lee tratta il confronto generazionale, la difficoltà con cui passato e futuro cercano di coesistere. Le azioni non compiute, le emozioni negate, sono alla base delle crepe dell’animo dei personaggi, proprio come accadeva ne “La Tigre e il Dragone” o “Tempesta di ghiaccio”. Alla fine della visione però rimane un senso di incompiutezza, quello che compare sempre quando ci si trova di fronte ad opere dal grande potenziale inespresso. E questo è “Hulk”, un film che ha molto da dare e poco da dire, finendo per schiacciare anche la parte più spettacolare del racconto.