Driven

Driven – Fuori tempo

Se esistesse una categoria di film denominata “fuori tempo”, allora “Driven”, diretto da Renny Harlin e scritto da Sylvester Stallone, diverrebbe sicuramente un esempio illustre per far comprendere a chiunque quali caratteristiche dovrebbe avere una produzione per rientrarvi. Regista e attore uniscono nuovamente le forze dopo il successo ottenuto nel 1993 con “Cliffhanger – L’ultima sfida”, dando vita a una pellicola sportiva incentrata sulle corse di Formula Indy, campionato americano che alterna sfide su circuiti cittadini a piste ad anello su delle monoposto che ricordano le macchine da Formula 1. L’idea alla base di “Driven” è quella di coniugare azione spettacolare durante la messa in scena delle corse, alternandola con il classico canovaccio da film sportivo.

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La pellicola segue la carriera del giovane pilota Jimmy Bly che, dopo una serie di successi in campionato, inizia a cedere alla pressione che ogni nuova sfida gli presenta di fronte. Ad aiutarlo arriverà il veterano Joe Tanto (Stallone), allontanatosi dalle corse dopo un incidente avvenuto qualche anno prima, durante il quale per poco non moriva assieme all’attuale campione in carica Beau Brandenburg. Bly, assieme a Tanto, riuscirà a ritrovare un equilibrio, non prima di aver toccato completamente il fondo.

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“Driven”, al netto della poca originalità alla base, che gli si può anche perdonare in virtù del voler raggiungere ogni tipologia di pubblico, non funziona e finisce per rendersi involontariamente ridicolo in più di un’occasione. La regia di Renny Harlin è dinamica e cerca, ottenendo purtroppo, la giusta alchimia tra l’immagine patinata e il ritmo da videoclip musicale. Il risultato è che ogni scena di corsa assomiglia più a uno spot televisivo, azzerando ogni tipo di trasporto nei confronti dell’azione che si sussegue sullo schermo.

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Quando però ci si allontana dalla competizione, “Driven” riesce pure a fare peggio, grazie a una sceneggiatura piena di momenti già visti, infarciti da una retorica così melensa che strappa una risata prima di veicolare qualsivoglia messaggio. Non si salva nemmeno il cast, che può fare veramente poco in virtù di personaggi troppo piatti e stereotipati; basti vedere come le figure femminili all’interno del racconto vengono trattate, per capire quanto le lancette sembrano aver riavvolto il tempo fino agli anni ‘70 almeno.

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Discorso a parte lo merita sicuramente Stallone, che seppur co-protagonista, finisce per appropriarsi di gran parte del minutaggio di “Driven”, apparendo troppo spesso e troppo fuori posto, dato che nei panni di pilota non è minimamente credibile con la prestanza fisica che si ritrova. Eppure nel film non tutto è da buttare; Harlin comunque piazza la macchina da presa nel punto in cui crea sempre il giusto spettacolo durante le corse, alcuni momenti seppur non originali funzionano, ma questo non basta a salvare un titolo che fallisce quando vuole creare emozioni.

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CONCLUSIONI
"Driven" si perde nella retorica e nella mancanza di originalità. Renny Harlin tenta di bilanciare azione e pathos, ma il risultato è una corsa senza meta, affossata da personaggi stereotipati e situazioni prevedibili.
1.5
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