Resident Evil Afterlife – Non c’è sceneggitura nel vuoto
Quarto appuntamento con le avventure di Alice con questo “Resident Evil Afterlife” che per l’ennesima volta, dovrà sopravvivere a orde di morti viventi e al tempo stesso salvare un po’ di superstiti. La civiltà come la conosciamo oggi è ormai estinta, la quasi totalità della popolazione mondiale è stata trasformata in esseri incoscienti e assetati di sangue, a causa di un virus sfuggito dai laboratori dell’Umbrella Corporation. Rimane una sola possibilità per i sopravvissuti a quest’alternativa fine del mondo, raggiungere Arcadia, l’ultimo luogo ancora popolato da esseri umani.
Alice (alla quale Milla Jovovich continua a donare la propria fisicità) parte alla ricerca di questo sconosciuto luogo, raccogliendo sulla sua strada nuovi superstiti e dovendo affrontare le insidie che la Umbrella mette sulla sua strada, senza ovviamente dimenticarsi delle orde di morti viventi che non desiderano altro se non cibarsi con i loro corpi. Come dicevamo all’inizio, quarto capitolo della saga ispirata all’omonimo videogioco Capcom, che vede ritornare in cabina di regia Paul W.S. Anderson che per l’occasione si arma di telecamere 3D, con le quali ottiene dei buoni risultati, che però non bastano a rialzare le sorti di quello che è il peggior capitolo della saga (il secondo almeno strappava qualche risata involontaria).
“Resident Evil Afterlife” è spettacolo grezzo allo stato puro, ogni scena e sequenza è progettata per stupire con effetti speciali e sequenze dai ritmi vertiginosi, peccato che questa cura per l’aspetto ludico della pellicola renda evidente quella che da sempre è una delle pecche del regista inglese, ossia la pessima gestione della storia, che in questo caso è comunque ridotta ai minimi termini, anche se confrontata con gli altri episodi (senza cercare paralleli con film di genere dello stesso tipo). Il cinema di Anderson ora come non mai sembra cieco di fronte alle esigenze dello sguardo e della mente, incapace di farli incrociare durante la visione, narra la storia per accumulo di situazioni e citazioni dal videogioco di partenza.
Non siamo più nel territorio del cinema giocattolo divertente e divertito, ma in quello del videogioco che si crede cinema, ove non bastano nemmeno le visioni tridimensionali di zombie e mostri vari per non annoiare lo sguardo di chi guarda. Le incongruenze si sprecano e non sono perdonabili perché mal supportate e dosate durante tutta la durata del film, Anderson si limita a dividere la pellicola in veri e proprio livelli staccati tra loro da dissolvenze, che distruggono lo spazio e il tempo, creando un vero buco nero al quale è difficile appassionarsi.
Ecco quindi che vediamo la protagonista, correre, sparare, mutare geneticamente, guidare aeroplani, sconfiggere uomini che si spostano alla velocità della luce (quando non combatte con giganti armati di ascia gigante), mentre dall’altra parte dello schermo cresce solamente la noia. Il fatto poi che la sequenza più interessante sia nascosta tra i titoli di coda (e che ovviamente apre la strada a un altro immancabile capitolo), dovrebbe dirla lunga sulla qualità di quanto si è appena visto.