Nemico pubblico – Non c’è più tempo per il racconto
John Dillinger, rapinatore di banche che ha messo in scacco la polizia statunitense negli anni ’30 (venne considerato il pericolo pubblico n°1 dall’FBI allora diretta da J.Edgar Hoover), rivive nell’ultimo film di Michael Mann “Nemico Pubblico”. Incentrato sulle gesta compiute dal criminale nel suo ultimo anno di vita, la pellicola inscena le gesta di quest’ultimo e di Melvin Purvis, l’agente che riuscì a fermalo. Non c’è più tempo per il racconto nell’ultimo film del regista americano, non c’è spazio per la progettazione delle azioni future, ma queste si formano mentre accadono. Il cinema di Michael Mann ha compiuto una mutazione ormai radicale, pur rimanendo fedele ai temi classici del cineasta.
La sfida degli opposti tipica di ogni suo film, in “Nemico pubblico” abbraccia la personale (e sembra definitiva) deriva intimista abbozzata in “Collateral”, ampliata in “Miami Vice” e finalmente arrivata ad una piena maturità in questa sua ultima pellicola. Nello sguardo di Mann non c’è più lo spazio per la mente e le sue infinite macchinazioni, i minuti sono pochi e il confronto degli opposti non può più essere misurato/costruito (cinematografico?) come quello tra il poliziotto Will Graham e la sua ossessione (il killer dente di fata), ed allo stesso tempo è divenuto un ricordo anche quello verbale/visivo tra il cacciatore e la preda di “Heat”.
In “Nemico pubblico” assistiamo all’azione nel momento in cui avviene, la sua pianificazione non esiste più e gli attimi divengono importanti poiché unici, nonché fibra muscolare sui cui poggia lo stesso. La storia viene raccontata a senso unico fissando lo sguardo sul presente che si costruisce di minuto in minuto, nell’animo e nel corpo dei personaggi mai così veri (e di contro poco cinematografici) prima d’ora. Ad aiutare Mann è il ritrovato Dante Spinotti che dona alla pellicola uno stile unico, incredibilmente distante dall’epica del cinema stelle e strisce, così come da quello dello stesso regista (gli spazi aperti de “L’ultimo dei Mohicani” sono un ricordo davanti un film che fa del primo piano la sua cifra stilistica).
Un film personale a tutti gli effetti “Nemico pubblico” che sgretola lentamente la scena per fissarsi sui corpi, sui loro movimenti, sulla loro distruzione e ritrovata armonia, su come questi descrivono e portano avanti il racconto, dato che non c’è presa di posizione nei confronti della storia, ma solo la riproposizione cinematografica della stessa, fino al punto in cui la realtà si sovrappone alla finzione in quella scena immensa che vede Dillinger passeggiare senza problemi all’interno di una stazione di polizia.
In quei pochi passi la realtà si sgretola completamente regalando uno dei migliori momenti della pellicola, in cui si respira cinema a pieni polmoni (e forse per la prima volta comprendiamo il personaggio del criminale, finalmente privo del peso della sua identità), perché la realtà supera la fantasia e l’occhio viene ingannato dal corpo, che porta avanti passo dopo passo dei pensieri di cui rimarremo per sempre allo scuro e per questo veramente affascinanti.
Non esiste più il tempo degli eroi e non è più possibile dipingere un criminale in modo affascinante (o romantico come il “Blackie” di Clark Gable), al contrario nel cinema di Mann la divisione tra bene e male, tra pubblico e privato, sono ormai sullo stesso livello, il carisma dei personaggi si azzera (sono uomini come tutti noi) ed i loro sentimenti traspaiono dai piccoli gesti, dagli sguardi e dalle parole non dette ma ferme ancora una volta sulle labbra. “Nemico Pubblico” è l’amore di un cineasta per il suo cinema, ed allo stesso tempo la stretta che blocca il respiro di chi lo guarda impotente davanti alle azioni che non gli appartengono perché già vissute, già sospirate, già passate.
Pubblicata su Nextplay.it