Priest
“Priest” è uno di quei film capaci da solo di affossare la carriera di chiunque ne sia coinvolto. Dal regista, agli attori, passando anche per chi fa le pulizie sul set. “Priest” è veramente uno di quei titoli che hanno enorme potenzialità sulla carta, fanno sperare in un b-movie solido e compatto, ma che riesce a deludere qualsiasi tipo di aspettativa, ma non di meno è pure capace di distruggere anche quelle poche idee che funzionerebbero in mano a una direzione che non spreca il suo tempo per mettere in mostra le proprie capacità (che in questo caso sono i limiti che portano al collasso della pellicola). Prima di parlare della trama, è meglio elencare le uniche cose positive del film, che si chiamano Paul Bettany e Karl Urban. I due attori si rendono conto di essere in mezzo di un pasticcio e fanno di tutto per alleggerire il tono, ma questo non basta a fermare la corazzata del regista Scott Stewart, che già ci aveva regalato il pessimo “Legion”. “Priest” racconta di un futuro in cui la lotta tra umani e vampiri ha portato alla quasi totale distruzione del pianeta terra. In una lotta che vedeva i mostri ormai vittoriosi con gli uomini costretti a vivere in città fortezza, arriva un ordine di preti guerrieri addestrati dalla Chiesa, che ribaltano la situazione sconfiggendo i vampiri. A guerra terminata questo gruppo di soldati non era più utile al mantenimento dell’ordine, così fu lentamente relegato ai margini della società, fino a quando un avamposto lontano viene attaccato da un gruppo di vampiri rapendo la figlia di uno dei preti guerrieri. Rischiando la scomunica si metterà sulle tracce della ragazza e scoprirà che i mostri della notte non solo non sono stati sconfitti, ma si stanno preparando per una nuova guerra. A grandi linee questa è la trama di “Priest”, film tratto da un fumetto coreano che mescola sci-fi e horror, su di un canovaccio tipicamente western. Sulla carta le potenzialità sono più che buone, ma nella pratica il regista mette assieme una pellicola sciatta, dove il montaggio che alterna rallenty e velocizzazioni leva epicità alle scene d’azione (molto poche tra l’altro). La computer grafica è figlia di un budget modesto ed era forse il caso di utilizzarla di meno e ingegnarsi di più a livello scenico. Le musiche forse nemmeno ci sono, tanto sanno essere anonime e la protagonista femminile, Maggie Q, riesce a credere così tanto nel proprio personaggio da scadere nel ridicolo involontario. È veramente difficile credere che a qualcuno questo stratificato garbuglio di grottesca stupidità possa essere piaciuto.
2 Comments
Cassidy
Maggie Q quasi una garanzia di pessimo film. Molto meglio questo di “Legion” (con lo stesso protagonista), peccato perché tutte le potenzialità del manga sono state sprecate in un filmetto da poco abbastanza dimenticabile. Cheers!
cinefilopigro
Effettivamente quando leggo Maggie Q un brivido mi scende lungo la schiena e una certezza si fa avanti nella mia testa. La’ttrice è un certificato di qualità che funziona al contrario.