Il Codice da Vinci – 20 minuti di sensazioni
Un uomo anziano fugge in mezzo all’oscurità dei corridoi del Louvre, le opere d’arte lo osservano e lui continua girarsi nel tentativo di vedere la paura che lo rincorre. Ad un tratto inizia a formarsi una figura incappucciata, un inseguitore lento ed implacabile che riesce a raggiungerlo e ad ucciderlo dopo aver ottenuto risposte a delle precise domande. Da qui inizia la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Dan Brown, in maniera del tutto simile al libro, ma allo stesso tempo cambiata nel profondo degli intenti. Si perhcè se la morte del curatore del Louvre nel testo è un pretesto per far scattare la successiva caccia al tesoro dei Templari, che non è il medesimo recuperato da Nicolas Cage un po’ di tempo fa, non lasciando quindi spazio a enormi interpretazioni di sorta, grazie all’avvento delle immagini la sequenza acquisisce pathos divenendo allo stesso tempo una dichiarazione di intenti da parte del regista Ron Howard, il quale nel realizzarla suggerisce allo spettatore che questo è il “suo” codice e la violenza ne è la primaria chiave di lettura. Peccato che appena i personaggi di Tom Hanks ed Audrey Tautou entrano in scena, spariscono dalla mente dello spettatore qualsivoglia illusione di autorialità presente nei primi minuti di film, trasportando tutto sui binari del “più simile al libro meglio sarà per i fan”. Questo potrebbe anche funzionare, in linea teorica dovrebbe accontentare tutti, ma purtroppo Ron Howard e lo sceneggiatore Akiva Goldsman avrebbero dovuto trovare il coraggio di adattare il testo alle esigenze della celluloide, tagliandolo e modificandolo in modo anche sostanziale rendendolo un’entità a se stante ispirata al libro, piuttosto di ereditarne la gran parte dei contenuti. Ma si sa le trasposizioni di romanzi così famosi, lasciano sempre un po’ di amaro in bocca indipendentemente dalla qualità dello scritto di partenza. Ciononostante abbiamo assistito nel corso degli anni a degli esempi illustri di passaggi carta-celluloide, basti pensare a “Shining” o “Misery” tratti dai romanzi di King, ma in anni recenti la trilogia dell’anello è li in bella mostra per mostrare a tutti che rischiare ripaga. Ma se torniamo al film in questione non possiamo non accorgerci di come questo manchi in molti punti di coesione e ritmo, molte scene sembrano inserite a forza e montate con l’accetta, su tutte quelle ambientate nella banca, che oltre ad essere mal realizzata serve a poco nell’economia del film per come viene proposta. Quando però il film sembra aver fatto raggiungere la noia a causa dello scarso ritmo e dell’eccessiva verbosità, ecco comparire in scena Ian McKellen che alza il ritmo per una ventina di minuti e regala, dopo Paul Bettany, la miglior interpretazione del film. Insomma da un buon libro si può ricavare un cattivo film, ma anche da un pessimo libro si può ricavare un’ottima pellicola, qui da un racconto onesto, che di per suo sembra già un film scritto, ne esce un film mediocre con pregi e difetti imputabili poco alla realizzazione, la quale in molti punti regala un gran bello spettacolo, e molto invece al materiale di partenza. Insomma chi sperava di vedere l’amato romanzo trasportato su pellicola resterà abbastanza soddisfatto dal lavoro svolto, chi invece a digiuno dello scritto di Brown vuole andare al cinema a vedere un thriller deve stare attento, perché il rischio di assopirsi è molto alto se la storia raccontata non riesce a far presa su di voi.
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