Prey – 1987 +/- 2022
Con “Prey” il regista Dan Trachtenberg eredita una delle figure più famose della fantascienza cinematografica anni ’80: il “Predator“. Per anni in molti hanno tentato di dare un degno seguito allo splendido film del 1987 diretto da John McTiernan e interpretato da un monolitico Arnold Schwarzenegger. I risultati sono sempre contrastanti. Quando si trattava di pellicole riuscite, queste non hanno mai incontrato i favori del pubblico (“Predators”). Al contrario il botteghino ha sempre premiato le produzioni più scarse e ruffiane (“Alien vs Predator”).
Ora questo “Prey” vuole dare nuova vita alla figura del “Predator”, strizzando l’occhio ai film che lo hanno preceduto (il secondo sopratutto), ma allo stesso tempo azzerando gran parte della mitologia creatasi negli anni. Lo scopo di Dan Trachtenberg è molto ambizioso e non è un caso che il regista di “10 Cloverfield Lane” oltre che dietro la macchina da presa, si sia anche armato di carta e penna curando la sceneggiatura del suo film. Una domanda però sorge spontanea di fronte all’ennesima operazione di “svecchiamento” del cult cinematografico: l’alieno cacciatore venuto da chissà quale spazio o tempo, ha ancora senso nel 2022? Vedendo “Prey” la risposta non può che essere affermativa.
Questa avventura inizia nella Grandi Pianure, dove un cacciatore alieno venuto da un mondo sconosciuto incrocia la sua strada con Naru. Questa è una giovane guaritrice di una tribù Comanche, che sogna di diventare una cacciatrice come il fratello maggiore. Quando avrà l’occasione di unirsi ad una gruppo di guerrieri che devono uccidere un leone di montagna, Naru si ritroverà a intraprendere una lotta per la sopravvivenza contro l’alieno che inesorabilmente ha trasformato in prede i compagni di Naru.
Uno degli elementi chiave del primo “Predator” era costituito dall’effetto sorpresa che l’alieno suscitava nello spettatore. Allora la scelta di non dare una forma alle motivazioni che spingevano la creatura a fare quello che faceva, risultò un’arma vincente che spalancava le porte dell’immaginazione di chi si trovava dall’altra parte dello schermo. “Prey” fa sua questa scelta narrativa e la riposiziona nel 2022, anni in cui il cinema sembra sempre più desideroso di sostituire iconici eroi muscolari, con eroine intelligenti e letali. Il film di Dan Trachtenberg riscopre l’essenzialità della sopravvivenza, ma sopratutto la caccia primordiale che regalava al film del 1987 i suoi momenti più iconici.
La scelta infatti di contrapporre ad un alieno letale, una donna guerriera risulta interessante. Da un lato troviamo una creatura che è divenuta simbolo di cinema testosteronico, dall’altro una giovane ragazza che lotta fondendo le abilità di guaritrice a quelle di guerriera (muscoli contro intelletto). Proprio il suo essere a metà tra il mondo maschile e quello femminile, fanno di Naru la cacciatrice perfetta, capace di sopperire alla mancanza di forza con l’astuzia e l’intelligenza. “Prey” di fatto porta in scena una vera eroina post “mee too”, fiera di essere donna, conscia della propria forza, ma sopratutto delle proprie debolezze, trasformando queste in un vantaggio nei confronti di un antagonista che ha ogni tipo di vantaggio tattico.
Il film di Dan Trachtenberg però nella ricerca della protagonista perfetta, non si concentra altrettanto nella costruzione dello spettacolo. In “Prey” a mancare è la tensione, che latitando depotenzia molti dei momenti spettacolari che la pellicola propone. Tutto scorre senza intoppi, ricordando un cinema “classico”, tanto è diretto nel dialogare con lo spettatore. Ma in “Prey” non c’è urgenza, nemmeno quando il pericolo è imminente e dovrebbe incollare alla poltrona. La pellicola di Trachtenberg si lascia guardare ma sembra voler tenere i momenti migliori per un eventuale seguito, che nemmeno a dirlo è già anticipato dal finale e pure dai titoli di coda. “Prey” in definitiva convince ma fatica a divertire e divertirsi nel farlo, rivelandosi un’occasione in parte sprecata.