Suspiria (2018)

Suspiria – Luca Guadagnino

Atto 1 – Sei atti e un epilogo. Nella Berlino divisa del 1977.

Susie Bannion (Dakota Johnson) fin da piccola sogna di diventare una ballerina e far parte della compagnia di danza “Helena Markos”. Giunta a Berlino verso la fine degli anni ’70 in preda alle tensioni di quello che sarà ricordato come “autunno tedesco”, la ballerina americana riuscirà a strappare un’audizione e verrà notata dalla famosa coreografa Madame Blanc (Tilda Swinton), che la accetterà tra i membri della compagnia. Qualcosa però in quell’accademia di danza non funziona, alcune ragazze spariscono misteriosamente e il comportamento delle docenti risulta a tratti bizzarro. Mentre Susie stringerà un legame sempre più forte con Madame Blanc, Sara, un’altra ballerina, spinta dallo psicologo Dr. Jozef Klemperer (Lutz Ebersdorf), inizierà ad indagare su quello che è accaduto alle persone scomparse scoprendo che la scuola di danza è in realtà un covo di streghe.

Atto 2 – Un nuovo punto di partenza

“Suspiria” di Luca Guadagnino si potrebbe riassumere in una sola parola: granitico. Quando il film inizia riesce fin da subito a spiazzare, proprio come l’originale di Dario Argento, forte di una calma e un incedere lento che ha poco da spartire con il titolo da cui prende ispirazione, segnando fin da subito un punto di rottura con il passato. Se nel 1977 Argento creava un mondo perennemente in bilico tra realtà e fantasia, dove la protagonista era una ragazza normale catapultata in un incubo, nel film di Guadagnino questo aspetto viene capovolto. La pellicola infatti inserisce l’elemento fantastico nel mondo reale, la Berlino del 1977 divisa dal muro e assediata da terroristi. La scuola di danza nasconde al suo interno un piccolo universo che ha le sue leggi e i propri equilibri e riflette la stessa spaccatura della città dove risiede.

Guadagnino sa bene di non poter rifare un film divenuto un classico del cinema horror e quindi si stacca completamente dall’originale, costruendo sullo scheletro del capostipite argentiano una storia articolata, per nulla banale, femminista e addirittura politica.

Importante diventa la figura dello psicologo, unico punto di contatto tra due mondi e personaggio che rifiutando l’esistenza stessa della stregoneria, si avventurerà in un mondo che supera la ragione. “Suspiria” è cinema che svuota se stesso per riempirsi di altro, rinuncia ad un potenziale visivo alienante (come era la fotografia di Tavoli del 1977), al confronto con l’archetipo originale, per incamminarsi su fredde geometrie che trovano la loro deriva nelle figure femminili danno vita e spazio al film. L’orrore trova nuovamente il suo equilibrio nella figura femminile a tratti dolce come una madre, altre volte spietata e terrificante come il peggiore dei mostri. Tra movimenti di danza in cui il peso della massa si fa sentire e diviene importantissimo in quanto legame con il reale, “Suspiria” distrugge un immaginario classico legato alle streghe per rifondarlo senza preoccuparsi di metterne in discussione le fondamenta (operazione che non era riuscita a Rob Zombie con “Le streghe di Salem”), senza paura di rivederne il folklore.

Atto 3 – Rimodellare un classico

Il film originale di Dario Argento è assieme a “Profondo Rosso” il suo film più conosciuto a livello internazionale, ma al tempo stesso è anche quello più enigmatico. Al regista romano interessava creare un incubo che lentamente avvolgesse lo sguardo per costringerlo in una spirale di eventi, non necessariamente coesi da una logica, ma capaci di immergerlo in un mondo oscuro fatto di colori e atrocità. La mancanza di equilibrio narrativo ha reso “Suspiria” un classico dell’orrore, splendido da guardare ancora oggi e irripetibile nella sua unicità. Guadagnino sa bene di non poter rifare un film ritenuto un classico del cinema horror e quindi si stacca completamente dall’originale, costruendo sullo scheletro del capostipite argentiano una storia articolata, per nulla banale, femminista e addirittura politica.

Gioca fin da subito a carte scoperte, svelando già dai primi minuti il tema della stregoneria, così che quando Susie entra nell’accademia lo spettatore è già a conoscenza di cosa accade tra quelle mura. Questo permette al regista di concentrarsi sul “contorno”, garantendogli la possibilità di non risultare fuori contesto quando violenza e gore faranno il loro ingresso nella scena, quando il fantastico irromperà nel reale per modificarlo/disgregarlo. “Suspiria” è però anche una pellicola che riflette su cosa comporta essere donna in una società che la considera debole, una figura relegata ad un perenne secondo posto. La sceneggiatura ha al suo interno una sensibilità e una cura nel descrivere il mondo femminile che stupisce per come si lega con le tematiche di genere a cui il film comunque deve assolvere.

Epilogo – L’incubo finisce

“Suspiria” di Luca Guadagnino è un film divisivo (in questo ricorda “Madre!” di Aronofsky), che ha al suo interno alcuni problemi, tra cui una non memorabile colonna sonora, ma che riesce nel suo intento di ripensare un titolo che non aveva comunque bisogno di una nuova versione. Ed infatti la pellicola del regista italiano ha pochissimi punti di contatto con la versione originale. L’immaginario del film di Dario Argento, viene completamente rivisto così come la messa in scena dell’orrore, prendendone le distanze pur rendendogli omaggio (i riferimenti alla pellicola del 1977 non mancano, ma sono inseriti con intelligenza). Guadagnino dirige un cast perfettamente in parte (non si può non notare però come la Swinton sia su un piano molto più alto delle altre attrici), in un film decisamente riuscito, che nonostante una trama compatta non riesce ad affrontare completamente tutti gli argomenti inseriti nel racconto, ma consegna al cinema internazionale un horror d’autore, che rimane incollato alla pelle di chi lo vede. In un panorama cinematografico italiano che vuole ritrovare la qualità perduta nel cinema di genere, “Suspiria” arriva come una ventata d’aria fresca.

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Suspiria (2018)
3.5
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