EX Machina – Come Dio
E’ quasi obbligatorio per il cinema di fantascienza moderno oltrepassare i limiti del concetto di azione-reazione, specie quando il racconto inscena nuovamente l’essere artificiale, creato ancora una volta dall’uomo che nel giocare a fare Dio darà forma alla sua stessa fine. Il fascino che una creatura sintetica esercita sullo schermo cinematografico è rimasto immutato nel tempo, dalla Maria interpretata da Brigitte Helm in “Metropolis” arrivando ad AVA di questo “Ex Machina”, gli intenti e le coordinate stilistiche sono cambiate, ma rimane costante l’immaginario che vede lo scienziato uomo, esattamente all’opposto della genesi biblica, dare forme femminili alla propria evoluzione/creazione.
Ecco il punto da cui Alex Garland, alla prima esperienza dietro la macchina da presa, decide di partire: l’umanoide dotato di intelligenza artificiale, per poi dirigere il corpo del cinema verso la riflessione che vede contrapposta la mente allo spirito. Se dal punto di vista visivo “Ex Machina” si rifà ai racconti robotici di Asimov (basti pensare della protagonista AVA), per quanto riguarda la sceneggiatura, dello stesso Garland, attinge a piene mani dalla fantascienza orientale, ispirandosi a temi già trattati da Masamune Shirow con i suoi “Ghost in the Shell”. Anzi è forse nei confronti di quest’ultimo che la pellicola ha più di un debito di riconoscenza, ed i paralleli con l’anime giapponese sono assolutamente calzanti.
“Ex Machina” è un thriller costellato di dialoghi suggeriti, spesso la verità è solamente visibile ma non udibile, ed è proprio in questi interstizi fatti di sola immagine che lo sguardo ha finalmente gli strumenti per arrivare al termine della storia, per uscire da quella villa/prigione che contrappone alle fredde cromie bianche e blu, attimi di emozioni color rosso. Saranno proprio le emozioni, la necessità di credere che ci sia altro oltre il confine del visibile, a fare in modo che uno dei protagonisti compi un passo verso un effetto domino che condurrà la storia vero il solo epilogo possibile, nonché allo svelamento della sua “morale”: l’intelligenza più “alta” vince sulle altre.
Garland gestisce perfettamente gli spazi, ma a maggiormente convincere è la sua gestione del tempo scenico in subordinato alle necessità narrative. “Ex Machina” è di fatto un thriller che innesca la riflessione e questo rende giustizia alla sceneggiatura, alle prove dei vari attori, ma anche alla pazienza dello spettatore che verrà accontentato al meglio dallo spettacolo del regista inglese.