READY PLAYER ONE – “Semplicemente” Steven Spielberg
Ohio 2045. L’economia è in completo declino e il mondo si divide in due classi sociali: ricchi e poveri. Il mondo ha visto un decadimento culturale proporzionalmente inverso all’evoluzione tecnologica. La popolazione dipendente sempre più dai servizi ha quasi del tutto rinunciato a vivere nel mondo reale abbracciando quello virtuale di Oasis. Wade Watts (Tye Sheridan) vive con sua zia nelle “cataste”, un agglomerato urbano dove risiedono la maggior parte dei cittadini meno abbienti. Ma se nel mondo reale Wade vale meno di zero, dentro ad Oasis egli è Parzival e il suo alter ego ha tutto ciò che può desiderare. Oasis è infatti un gioco dove qualsiasi cosa diviene possibile, pieno di mondi/livelli che sono la versione “senza frontiere” dei desideri e delle fantasie di ogni essere umano. Questo incredibile mondo il cui unico freno è la fantasia del giocatore di turno è di fatto il solo ed unico spazio di ritrovo della società attuale.
La gente dentro Oasis si conosce, viaggia, balla, fa l’amore, lavora e può persino morire. La morte dentro al gioco significa perdere quanto si possiede tra cui anche i propri soldi. Certo c’è la possibilità di poter ricominciare a giocare e guadagnare come e anche più di prima, ma questo non vuol dire che un errore all’interno di Oasis non abbia ripercussioni nella vite reale.Nell’universo di gioco ogni cosa è possibile e tutti possono arricchirsi, anche perchè non esistono classi di partenza, ogni giocatore quando inizia parte dal gradino più basso. Ma non è tutto oro quello che luccica, il rischio di perdere completamente la propria libertà nel tentativo di primeggiare è molto alto. Il creatore di Oasis, James Halliday, nel giorno della sua morte lancia una sfida a tutti i giocatori.
Il programmatore ha infatti nascosto un “easter egg” all’interno del gioco, chi riuscirà a trovarlo erediterà non solo la sua fortuna economica, ma anche il pieno controllo su Oasis. Per riuscire in questa impresa si devono affrontare tre precise sfide che possono essere portate a termine solo da chi ha una profonda conoscenza riguardante la vita del programmatore e la cultura pop anni ’80, i cui riferimenti è pieno il gioco. Alla ricerca dell’easter egg c’è Parzival e anche altri giocatori solitari, tutti mossi da ragioni diverse. Oltre a questi c’è anche la IOI, una società che vorrebbe impossessarsi della piattaforma per poter aumentare i propri guadagni e rendere sempre più dipendente la popolazione dai loro servizi.
“Ready Player One” di Steven Spielberg è uno dei migliori film per ragazzi di ogni età uscito negli ultimi tempi, ma sgombriamo anche subito il campo su due cose abbastanza importanti che riguardano cosa non è “Ready Player One”. Ecco il film non è un capolavoro e nemmeno la definitiva celebrazione degli anni ’80 o della cultura nerd. Ma la pellicola non è nemmeno un “blockbuster” comune, e quanto sto per scrivere scatenerà più di qualche salto sulla sedia, perché “Ready Player One” è il nuovo punto di riferimento per le pellicole di intrattenimento ad alto budget, questo al netto dei difetti che comunque si porta appresso. Spielberg firma un atto d’amore nei confronti dell’immagine e del cinema tutto. Ed è incredibilmente assurdo come per celebrare il passato, esso abbia diretto una pellicola così tecnologicamente avanzata. Qualcuno potrebbe asserire che ci si trova davanti a qualcosa che nemmeno è un film vista l’alternanza animazione digitale/ripresa analogica, ma probabilmente anche quando usci “Mary Poppins” nel 1964, o un qualsiasi altro film realizzato dopo con il rotoscopio e matte painting, si mossero le stesse obiezioni. Quindi possiamo dire che se consideriamo la pellicola di Stevenson, o anche “Chi ha incastrato Roger Rabbit” di Zemeckis tanto per citare qualcos’altro, un film, anche “Ready player One” entra di diritto in questa categoria, dato che la differenza sta solamente nella tecnica realizzativa.
Spielberg con “Ready player One” firma un atto d’amore nei confronti dell’immagine e del cinema tutto, prima che sull’immaginario anni ’80 o la cultura nerd in generale.
Rispetto a “Avatar” o “Beowulf”, ma anche a “Le avventure di Tin Tin” di Spielberg, questa ultima opera del regista di Cincinnati è profondamente diversa. Ma è nei confronti del film di Cameron però che “Ready player One” segna lo scarto maggiore, dato che riesce finalmente a fondere con credibilità analogico e digitale, al punto che fin da subito lo sguardo non si pone nessuna domanda nei confronti dell’artefatto. Sicuramente ad aiutare il regista viene in soccorso la storia alla base dell’avventura, ma bisogna riconoscerne la maestria nell’esecuzione, perché qui si va ben oltre il semplice mestiere e la sequenza introduttiva, che in una manciata di minuti riesce a spiegare “le regole del gioco”, è la dimostrazione lampante della distanza che separa Spielberg dai suoi colleghi. A questo punto sembra che “Ready Player One” sia un esercizio tecnico/stilistico fine a se stesso, una dimostrazione di tecnologia applicata. Fortunatamente non è così, perché il film ha anche un enorme cuore. La pellicola, proprio come accade ad un nuovo giocatore in Oasis, tratta ogni sguardo alla pari (e qui appare anche il difetto più grande che affligge la prima parte). Contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, Spielberg e gli sceneggiatori, per rendere fruibile la pellicola oltre ad un pubblico di soli appassionati e lo fano nel modo migliore possibile: trattando lo spettatore come una persona intelligente. Non c’è più la reiterata spiegazione dei fondamentali (esempio lampante di questo è “Inception”), però ottenre questa sorta di “livellamento”, il ritmo del film almeno nella prima ora risulta rallentato. Certo per ovviare a questa sorta di narrazione dilatata “Ready Player One” contrappone ad essa una entusiasmante sequenza d’azione, una gara di corsa, ma è insufficiente a nascondere questa sorta di pesantezza.
Una volta però che tutti i personaggi sono stati descritti e messi sui nastri di partenza il film decolla e aumenta il suo ritmo di minuto in minuto, regalando nella parte centrale e finale due sequenze che da sole potrebbero coronare l’intera carriera di un regista esordiente. Spielberg trasforma le citazioni in cinema puro, non si limita all’ammiccamento di questo o quell’altro elemento, o all’utilizzo di icone anni ’80 come “soprammobili” di scena. Il regista invece, trasforma la citazione in elemento attivo e allo stesso tempo fondante dell’apparato visivo del film, perché lo spettacolo inscenato è di avanguardia e non celebrazione del postmoderno. Sotto questo aspetto “Ready Player One” rivela essere opera unica, capace di solcare una strada quasi impossibile da intraprendere/comprendere per un cinema che si esalta quando di fronte alla proclamazione dell’amore per la ripresa su celluloide, come se la qualità finale di un’opera fosse subordinata dal supporto che la contiene. Ovviamente con il susseguirsi di azioni ed eventi sullo schermo via, via, sempre più esaltanti, si presentano anche i problemi del film, legati per lo più a lacune di sceneggiatura, ma anche al palese interessamento riposto in misura diseguale all’aspetto ludico piuttosto che contenutistico.
Se come abbiamo scritto sopra “Ready Player One” è si la celebrazione della cultura anni ’80 e nel farlo non è mai banale, si porta appresso i limiti che erano propri nel cinema di quel periodo: gli antagonisti. Purtroppo ritroviamo la classica corporation (ma non governativa come ci si poteva aspettare), che vuole conquistare il potere per usarlo a proprio piacimento. Poco importa che il cattivo Nolan Sorrento interpretato da Ben Mendelsohn sia a tutti gli effetti il prototipo di stronzo perfetto, perché esso e tutta la IOI non vengono approfonditi adegutamente, costringendo a chiudere più di un occhio per giustificare le azioni che questi compiono. “Ready Player One” è un tipo di fantascienza ben precisa, assolutamente non adulta ed ha come fine ultimo un obbiettivo che consegue con estremo successo: essere grande cinema di intrattenimento per ragazzi e famiglie. Il film infatti non è solo un prodigio tecnico, un omaggio al cinema di un’epoca che egli stesso ha contribuito in larga parte a creare, ma è prima di tutto una pellicola veramente per tutti, che divisa tra alti vertiginosi e bassi incapaci di scalfirla veramente, regala uno spettacolo unico e nel panorama odierno addirittura raro.
“Ready Player One” infatti non è solamente spettacolare sul piano visivo, ma è dannatamente divertente, costruisce un mondo originale capace per tutta la sua durata di coinvolgere lo sguardo in un mondo, quello cinematografico, capace di stupire come solamente esso sa fare. Scrive Gianni Canova nella sua recensione pubblicata su welovecinema.it: “Ci sono opere, in ogni arte, che segnano un punto fermo. Un punto di non ritorno. Opere dopo le quali l’arte stessa non sarà più come prima. Ready Player One di Steven Spielberg è una di questa opere.”. Per quanto molti faticheranno ad accettarlo il critico italiano in tre righe riassume perfettamente “Ready Player One”, film che sta al 2018 come “Jurassic Park” stava al 1993 e guarda caso ad accomunarli troviamo ancora una volta lo stesso regista e non è sicuramente un caso.