Twisters

“Twisters” – Lee Isaac Chung tra spettacolo e riflessione sociale

A visione ultimata, appare chiaro che non ci fosse bisogno di un film come “Twisters” di Lee Isaac Chung, e questo per diversi motivi validi. Uno di questi è che il precedente titolo diretto da Jan de Bont rimane oggi un valido prodotto d’intrattenimento. La pellicola del 1996 è un perfetto esempio di un cinema in cui l’effetto speciale era il fulcro e la ragione d’esistenza stessa. Si trattava di un prodotto da consumare tutto d’un fiato, capace di portare sul grande schermo l’infilmabile, spettacolarizzandolo oltre i limiti dell’immaginazione.

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A supporto del modello produttivo tipico dei blockbuster anni Novanta, troviamo due protagonisti interpretati da attori noti, ma non di richiamo, e personaggi secondari progettati per orientare i toni. Il racconto si preoccupa di restituire nel modo più efficace possibile la spettacolarità della devastazione attraverso la computer grafica. Insomma, il primo “Twister” rappresentava la consacrazione del green screen di alta qualità, senza mai dimenticare di dialogare con lo spettatore, offrendo uno show piacevole e divertente, che mantiene il suo fascino anche a distanza di anni.

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“Twisters”, al contrario, ribalta completamente questo aspetto fondamentale del capitolo precedente, subordinando l’effetto speciale al viaggio dei suoi protagonisti in un racconto semplice, ma che non si limita a essere un collante tra i vari momenti d’azione. Lee Isaac Chung riesce nell’impresa di riproporre sostanzialmente lo stesso film del 1996, modificandone le traiettorie e facendolo apparire effettivamente come qualcosa di nuovo. Eppure, “Twisters” si presenta quasi come una copia carbone del film del 1996, concentrandosi sui luoghi e sulle persone, trasformando l’Oklahoma non solo in un palcoscenico da distruggere, ma in un territorio da vivere.

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Questo sposta lo sguardo dall’ammirare la furia distruttiva dei tornado, rappresentata dalle prodezze della computer grafica moderna, a una riflessione sulla devastazione sociale che fenomeni naturali incontrollabili infliggono al tessuto di un paese. “Twisters” si rivela quindi speculare al film del 1996, perché non rinnega il dramma, trovando in questo la sua ragione d’esistere.

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In un panorama cinematografico attuale, dove si cerca di trasformare ogni cosa in un brand a partire dai successi del passato, l’operazione compiuta da Lee Isaac Chung è tra le più convincenti. Riesce a creare un intrattenimento da consumare con una bibita fredda e un cesto di popcorn, ma per una volta anche con il cervello acceso. Di per sé, questo rappresenta già un incredibile traguardo, trasformando un’operazione apparentemente inutile in qualcosa di interessante.

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CONCLUSIONI
"Twisters" di Lee Isaac Chung riprende l'eredità del film del 1996, trasformando il disastro naturale in una riflessione sociale. Mentre il primo "Twister" puntava tutto sugli effetti speciali, questa nuova versione si concentra sui protagonisti e sull'impatto umano, offrendo un intrattenimento coinvolgente che unisce spettacolo e contenuto.
3
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