30 giorni di buio – Isolamento monocromatico
A Barrow in Alaska tutti si stanno preparando al mese di buio che li attende, c’è chi se ne va per 30 giorni, chi si gode gli ultimi momenti di luce e chi arriva per portare la morte tra le strade innevate della cittadina. Al calare del sole infatti, gli abitanti si vedranno assalire da un gruppo di vampiri affamati ed intenti a sterminare tutto e tutti. A far fronte ai figli di caino c’è il poliziotto Eben (Josh Hartnett) ed un piccolo gruppo di sopravvissuti che non sono intenzionati a svendere i loro corpi. Allo sparuto gruppo di persone non resta che attendere trenta giorni, dopo i quali il sole ritornerà e con lui la speranza di sopravvivere.
Diretto da David Slade, prodotto da Sam Raimi, “30 giorni di buio” è la trasposizione di un omonimo fumetto underground dall’originale impronta stilistica. Strizzando l’occhio a “La Cosa” e “Vampires” di Carpenter la pellicola del regista inglese si muove per il paesaggio tenebroso di una cittadina ai confini del mondo, li sul punto più a nord degli Stati Uniti d’America la macchina da presa osserva la paura che precede la morte, il sangue che scorre sulla pelle dei corpi che si spengono ed ovviamente gli incubi dei sopravvissuti.
Slade evita una narrazione concitata andando a favorire il senso di oppressione e pericolo che si respira tra i supersiti, ma se questa è la cosa più riuscita della pellicola spiace dire di come sia anche l’unica. Nell’incessante stesura di questo “diario di morte”, il regista lascia la caratterizzazione dei personaggi nelle illustrazioni del fumetto, trasportando su celluloide le figure ma non gli animi. Ecco quindi che “30 giorni di buio” si consuma lentamente dentro a clichè di genere, trasferendo allo spettatore un vago senso di deja vù, distruggendo le coordinate visive e rendendo refrattario il cuore rispetto alle gesta dei protagonisti.
Manca la “mente” dietro ad un simile progetto cinematografico, o forse il coraggio di provare a puntare su una visione più profonda, magari sperimentale o più semplicemente “intellettuale”. “30 giorni di buio” si rivela essere un film stupidamente visivo ma privo di atmosfera, che spaventa purtroppo solo nei momenti in cui i maghi degli effetti sonori si sono dati da fare. Non è sicuramente un peccato vedere un film che non sfrutta certe possibilità offertegli dalla storia adagiandosi sul “già visto”, ma lo è avere la certezza a fine visione che nelle mani di un altro regista poteva diventare una piccola perla del cinema horror moderno.