La leggenda di Beowulf

La leggenda di Beowulf – Una moneta per una leggenda

Zemeckis si arma di tecnologia d’animazione digitale per la seconda volta, dopo il sottovalutato e snobbato “The Polar Express”, ma ora cambia l’indirizzo finale scegliendo di spingersi alla ridefinizione del corpo cinema utilizzando un racconto epico, indirizzato non solo più alle famiglie ed ai bambini, ma ai ragazzi ed agli adulti, ed entrambi nonostante tutto posso essere contenti del divertimento che il cineasta americano imbastisce. La leggenda vede un villaggio Danese popolato dal demone Grendel e la sua lussuriosa madre. Per contrastare questi mostri arriva dal mare l’eroe Beowulf, il quale lotterà, vincerà e cadrà vittima di una maledizione da parte della seducente madrina demoniaca.

Storia “classica” fatta di eroi uomini e creature maligne inquietanti, il film di Zemeckis abbandona i corpi di carne, gli spazi reali per ricreare un mondo fatto dall’unione di calcoli matematici che creano l’esperienza visiva, a discapito del calore della storia, ma innalzando la spettacolarità narrativa della stessa. Il cinema diviene disegno animato, i corpi non vengono creati dalla fantasia, ma rapiti dalla realtà e trasformati in un’immagine che non si modificherà mai più, il momento viene cristallizzato dalla tecnologia digitale, ed è pronto a ripresentarsi per sempre allo stesso modo, senza che il tempo riesca a scalfirlo.

Zemeckis racconta ancora una volta di figli rinnegati costretti a pagare sulla loro pelle gli errori dei padri, il tempo diviene di nuovo il propulsivo cuore della storia ed il “Ritorno al futuro” questa volta non avviene più nello scenario di una Hill Valley alternativa, ma negli spazi immaginari di una Danimarca mai esistita come ci viene proposta, con i suoi esseri ancestrali ed i suoi eroi a volte troppo umani, al punto di riconoscere i propri e le loro sconfitte più obbiettivamente di quanto non farebbe una persona fatta di carne e sentimento.

I tempi si frammentano e sformano in una pellicola completamente rarefatta dalla tecnica realizzativa digitale, che racconta la storia alla velocità di 144 fotogrammi al secondo (dove concesso dalla proiezione digitale 3D), ma che sfrutta ancora l’uomo, o meglio la raffigurazione digitale dell’animo umano, come punto di contatto con lo spettatore, il quale riesce a scorgere nelle ombre che macchiano lo spirito del protagonista le proprie, ma anche il viatico per porvi rimedio, magari arrivando alla più tragico degli epiloghi, certo però che l’accumulo del rimorso logorerebbe maggiormente rispetto alla riconquista dell’onore.

“La leggenda di Beowulf” è una storia di lussuria, potere e gloria, proprio come viene definita dal suo protagonista, ed il regista americano tratteggia in modo esemplare questi tre aspetti, assieme alla componente prettamente avventurosa presente nella sceneggiatura, andando però ad incartarsi troppo spesso in alcuni momenti della pellicola facendo sembrare alcuni personaggi inseriti a forza, creando un discontinuità nella tessitura narrativa. Zemeckis crea uno spettacolo appagante, allo stesso tempo inutile ma divertente, che sarà ricordato più per una sensuale versione digitale di Angelina Jolie che per le gesta del protagonista, ma forse il suo film per questo motivo è già leggenda nella storia della cinematografia moderna.

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