Willow

Willow – Nato per essere un cult

Difficile essere nati sul finire degli anni ’70 o nella prima metà degli ’80 e non aver intercettato la visione di “Willow” diretto da un giovanissimo Ron Howard. Nel periodo d’oro dei videogames, in ripresa dalla crisi del 1983, dei giochi di ruolo, ma soprattutto del fantasy letterario e non, quel periodo si rivelò una fucina di mondi incantati, draghi, cavalieri, stregoni e dame da salvare che sedimentavano nella testa di chiunque. Nella decade precedente il grande schermo aveva più volte tentato di ospitare la saga de “Il Signore degli anelli”, con più originalità che successo, dando origine a un effetto collaterale che ha generato una serie di titoli che ha indelebilmente segnato il periodo e l’immaginario popolare.

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Basti pensare a titoli come “La storia infinita” di Wolfgang Petersen, lo sfortunato “Legend” di Ridley Scott (che rimane ancora oggi un affascinante garbuglio), “Dark Krystal” di Jim Henson (che è ritornato da poco sottoforma di serie televisiva) o “Labyrinth”, film in cui una giovanissima Jennifer Connelly deve salvare il fratello intrappolato nel labirinto magico del re dei goblin Jareth, interpretato da un iconico David Bowie. Ma oltre a questi, che sono quelli tra i più famosi del filone per ragazzi a cui appartiene lo stesso “Willow”, in quegli anni anche il fantasy epico abbondava grazie ai vari “Conan”, “Il Drago del lago di fuoco”, “Krull”, “Ladyhawke”.

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Insomma in quel periodo regni fantastici attiravano il pubblico in sala, plasmando i gusti cinematografici di un’intera generazione. George Lucas dopo il successo ottenuto da “Labyrinth” (di cui vi consiglio la recensione del prode Cassidy), decide di dare vita a un’idea che ha da molto tempo in un cassetto, ossia la storia di una strega-regina di nome Bavmorda, la cui fine secondo un’antica profezia, arriverà con la nascita di una bambina recante un particolare marchio sul suo corpo. Preoccupata che questo presagio possa avverarsi, imprigionerà nel suo castello tutte le donne incinte del regno. Quando la bambina, Eleonora Danan, verrà al mondo Bavmorda ordinerà di ucciderla, ma la madre in accordo con la nutrice riuscirà a metterla in salvo.

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Purtroppo però, nonostante gli sforzi delle due, la giovane Eleonora verrà abbandonata e ritrovata nelle vicinanze di un villaggio di nani dai figli di Willow Ufgood (Warwick Davis), un giovane contadino aspirante stregone. Quando alcuni segugi di Bavmorda irromperanno in quel paesino, Willow si vedrà costretto a rivelare al capovillaggio del ritrovamento di Eleonora. Etichettata come una sventura verrà incaricato di portare la bimba dalle persone della sua stessa razza, assicurandosi che nel mentre non le succeda nulla. Assieme a un gruppo di compaesani Willow lascerà la sua famiglia imbarcandosi in un’avventura che lo porterà dove nemmeno la sua fantasia avrebbe mai immaginato.

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“Willow” diretto da Ron Howard rappresenta al tempo stesso la massima espressione del cinema d’intrattenimento condito con effetti speciali di quegli anni, ma anche uno dei punti più alti del fantasy per famiglie che il cinema sia riuscito a proporre in quel periodo. La pellicola non è sicuramente involucro d’originalità, ma piuttosto una curata unione d’idee e spunti narrativi presi dai più disparati testi e film di genere. Dalla strega Bavmorda, al cavaliere solitario in cerca di redenzione, passando per la compagnia di nani che nel compiere il proprio destino si disgregherà lentamente, George Lucas e lo sceneggiatore Bob Dolman (“Cuori Ribelli”) lavorano sapientemente alla ricerca di un equilibrio narrativo, tra le molteplici fonti d’ispirazione.

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A supporto del loro lavoro c’è la direzione di Ron Howard attenta e puntuale nel dosare sapientemente il ritmo. Il regista americano è assolutamente a suo agio nel genere e si muove agilmente tra scene d’azione e momenti drammatici, sfruttando al meglio una produzione che può contare su effetti speciali all’avanguardia, avendo però coscienza di non far si che questi divorino la narrazione. Il racconto e i personaggi sono il cuore pulsante di “Willow”, assieme a un mondo approfondito quanto basta per dare alle vicende uno sfondo credibile. Le gesta di questo “piccolo” uomo contro un sistema che lo vuole schiacciare, scatenano subito l’empatia nei suoi confronti e questo è merito anche del suo protagonista.

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Warwick Davis qui recita finalmente senza maschere sul volto, infondendo lo spessore necessario al suo personaggio. Il resto del cast è comunque ben calato nei rispettivi ruoli, su cui spicca Val Kilmer nei panni dell’avventuriero Madmartigan, che diventa la perfetta spalla dell’eroe a cui affidare tutti i momenti in cui l’azione si fa muscolare. “Willow” nel suo essere derivativo finisce, grazie all’azzeccata scelta di affidare a un nano il ruolo principale, per costruirsi una personalità forte che gli permette di rimaner impresso nella memoria dello spettatore. Oggi nonostante gli anni trascorsi rimane ancora un’avventura che vale la pena rivivere, pur con la consapevolezza che in alcuni momenti gli effetti speciali, visibilmente datati, finiscono per intaccare l’emozione.


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