Uomini che odiano le donne

Uomini che odiano le donne – Il lento disfacimento del corpo

Una società in cui tutti i giorni viviamo sempre più malsana. La normalità è divenuta la corrosione del tessuto umano e dei rapporti interpersonali, la moralità viene meno quotidianamente e noi stiamo lì a guardare anche quando questa è sottratta a noi stessi. Ogni cosa è puntualmente contaminata dal potere finanziario che è divenuto vessillo di autorità e autenticità più delle stesse istituzioni. In questo mondo dove anche ciò che dovrebbe essere un diritto è ritrattato con “regole di mercato” (il rapporto tra Lisbeth , la protagonista, ed il suo tutore) s’incontrano due figure che decidono di andare controcorrente, finendo per essere vittime delle loro stesse azioni.

Uomini che odiano le donne

Questi sono il giornalista Mikael Blomkvist (Daniel Craig che finalmente si spoglia delle vesti di James Bond) e l’investigatrice privata/hacker Lisbeth Salander (Rooney Mara). A far incontrare i due sarà Henrik Vanger, capo della famiglia Vagner, il quale chiede al giornalista caduto di compiere un’indagine riguardante la nipote Anita che crede assassinata quarant’anni fa. Mikael accetterà l’incarico perché oltre al compenso l’anziano industriale gli promette (o lo corrompe promettendogli) delle informazioni per potersi riscattare da un recente fatto giudiziario che lo vede implicato.

“Uomini che odiano le donne” ultima pellicola di David Fincher è un thriller dall’intelaiatura classica, che però tenta di sondare morbosamente le meccaniche alienanti e ben nascoste dell’animo umano, rappresentate minuziosamente nelle loro sfaccettature nei membri della famiglia Vagner. Questa è la giusta incarnazione del potere e del deterioramento che questo porta all’animo, una corrosione che ha radici talmente profonde da riuscire ad allontanare tra loro quasi tutti gli elementi famigliari, rendendoli estranei e ipocriti al tempo stesso, è legati da un cristallino sentimento d’odio.

Su questo sfondo fatto di tanta meschinità Fincher fa muovere i suoi due protagonisti, come due agnelli dentro ad un mattatoio, consci che la loro fine potrebbe avvenire in ogni momento (splendido in questo senso il dialogo sull’istinto che avviene tra Blomkvist e Martin Vanger), ma allo steso tempo con l’impossibilità di mollare tutto per mettersi in salvo la vita, dato che scoprire cosa si nasconde oltre il buio ha un fascino irrinunciabile.

I due protagonisti divengono quindi un tutt’uno unendo anima e corpo per salvarsi prima ancora che per portare a conclusione l’indagine, perché tra le fredde nevi della Svezia la tangibilità dei corpi e dell’unione degli stessi, diventa l’unica disperata ancora con la realtà di un mondo che ha già escluso molti figli o peggio li ha costretti a fuggire nell’impossibilità di comunicazione con i propri padri (anche qui il rimorso di Erik Vagner sta nelle parole non dette alla nipote).

Uomini che odiano le donne

Fincher e lo sceneggiatore Steven Zaillian, pur rimanendo fedeli a una narrazione didascalica e molto romanzata, inseriscono nel sottotesto una macabra visione personale della società moderna che si attacca allo spettatore con la stessa viscosità con cui il petrolio scivola sui corpi nei titoli di testa, trasformando “Uomini che odiano le donne” in una pellicola adatta a ogni spettatore nonostante un’impronta autoriale che non si ferma ai dettagli scenici o movimenti di macchina, ma che va ricercata nella metafora umana della società moderna costituita sempre più dall’occorrenza del superfluo e dalla cecità autoimposta su quello che ci circonda (la parte finale con la scoperta dell’assassino e quell’allungamento dedicato a Lisbeth è una splendida metafora di quanto appena scritto).

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3.5
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