Uncharted – Stupido ma a tratti spettacolare
Il regista Ruben Fleischer con questo kolossal d’avventura tratto dal videogioco “Uncharted”, conferma il suo essere estremamente lungimirante nella scelta dei titoli da dirigere. Salito alla ribalta grazie alla divertentissima commedia horror “Benvenuti a Zombieland“, Fleischer ha successivamente sfornato titoli più interessanti che riusciti, come ad esempio il trascurabile “Gangster Squad” o il fallimentare “Venom“. Ad accumunare queste pellicole con “Uncharted” c’è sicuramente una voglia da parte del cineasta di rielaborazione, o forse svecchiamento, di formule produttive passate ben rodate. Non è un caso se questa avventura con Tom Holland protagonista, abbia il sapore delle pellicole Bruckheimer dei primi duemila come “Pirati dei Caraibi” o “Il mistero dei templari”. Fleisher prende le distanze da quel “Indiana Jones” da cui il videogioco di partenza rielaborava caratteri e traiettorie, per infilarsi gli abiti del “film baraccone” tanto caro e fruttuoso in casa Disney.
“Uncharted” racconta le gesta di Nathan Drake (Holland) che assieme al suo diffidente socio in affari Victor Sullivan (Mark Wahlberg), si metteranno alla ricerca del tesoro perduto di Magellano. Ad aiutare i due l’avvenente Chloe Frazer (Sophia Ali), mentre nel tentativo di precederli e mettere le mani sull’oro troveremo Santiago Moncada (Antonio Banderas). Quest’ultimo mosso da un’antica faida famigliare nei confronti di Magellano assolda una vecchia conoscenza di Sullivan, la mercenaria Braddock (Tati Gabrielle), che non avrà alcuno scrupolo nel tentare di rimuovere tutto quello che si frapporrà tra lei e il tesoro perduto.
Ci sono posti che non si trovano su nessuna mappa. Non sono scomparsi, solo perduti.
Come scritto all’inizio il modello d’avventura non è quello spielberghiano, ma quello caciarone assomigliante più a un parco tematico che non a un film, tipico delle pellicole che Jerry Bruckheimer produsse per la Disney per buona parte degli anni duemila, fino a quando il meccanismo sembrò incepparsi finendo per incrinare i rapporti tra lo studio e il celebre produttore. Certo fin tanto che tutto ha funzionato gli incassi sono stati altisonanti, non è un caso se per l’adattamento di un celebre franchise videoludico come “Uncharted” si sia cercato di svecchiare quella formula, dando vita a un prodotto capace di trascinare i fan al cinema e attrarre un pubblico nuovo del tutto estraneo al materiale di partenza.
Gli sforzi di Fleischer e della neonata casa di produzione “Playstation Productions“, sono di tutto rispetto, peccato però che si rivelino incapaci di portare a risultati degni di nota. “Uncharted” è un film d’avventura in cui paradossalmente questa è la prima cosa che viene meno. Mistero e fascino della scoperta sono del tutto assenti, così come un antagonista veramente degno di nota. Se da un lato, l’idea di un Nathan Drake giovane che si appresta a diventare il personaggio reso famoso dai videogiochi funziona a dovere, dall’altro, una grossolana e piatta scrittura degli eventi che si ritrova a vivere nella finzione cinematografica affossa l’intero racconto. Al senso di avventura si preferisce l’azione e l’epica della computer grafica, che riescono a riempire i vuoti narrativi, ma non le incongruenze di cui il film è pieno.
Un esempio è la sequenza ambientata a Barcellona in cui Nathan e Chloe si ritrovano nei sotterranei di una chiesa, dove a detta loro nessuno ci ha messo piedi per centinaia di anni. Peccato che dopo un po’ in questo stesso sotterraneo inizino a spuntare tubazioni classiche da fognatura e questo finisca per condurre i due all’interno di una discoteca. Durante una sequenza del genere si rimane basiti dalla non curanza (ma sarebbe meglio dire idiozia) che la sceneggiatura ha nei confronti della sospensione dell’incredulità, o dell’intelligenza di chi guarda. A momenti completamente “scassati” il film di Fleisher ne alterna alcuni di gradevoli, ma che non bastano per risollevare un film dalla narrativa scostante e raffazzonata. Certo va detto che “Uncharted” nelle sue quasi due ore di durata non annoia, ma il fatto che faccia scoppiare risate in momenti tutt’altro che ironici non lo eleva di certo a prodotto riuscito.