Thor: Love and Thunder – Le capre ci sono, mancano i cavoli
Quarta avventura per il Dio del tuono di casa Marvel, “Thor: Love and Thunder” conferma Taika Waititi alla regia dopo il successo del precedente episodio. Il personaggio interpretato da Chris Hemsworth ha sempre faticato a trovare una propria dimensione all’interno del Marvel Cinematic Universe, da un primo capitolo che non riusciva a coniugare dramma e azione con un’ambientazione fantastica, ne è seguito uno essenzialmente monotono e privo di personalità. Ma se nelle pellicole a lui dedicate il personaggio non esprimeva appieno il suo potenziale, il biondo Dio del tuono ha sempre avuto una certa importanza nei film crossover dello studio. Troppo poco, ma sufficiente per tenere in vita il personaggio.
Affidare Thor a un regista come Waititi fu un vero “azzardo”. Il regista neozelandese quando lavorò sul terzo capitolo della saga non era ancora quel cineasta famoso, vincitore di un Oscar per “Jojo Rabbit” che ora tutti conoscono. Anzi sembrava l’ennesimo direttore malleabile a cui Marvel dava in mano un progetto su cui esercitare a piacimento ogni tipo di controllo. In alcuni casi questa scelta ha funzionato, “Ant-man” ad esempio, in altri ha dato vite a opere poco convincenti, si pensi a “Eternals”. Soffermandoci però sul personaggio di Thor il terzo film, “Thor: Ragnarok”, mise un certo impegno nell’accettare una sfida complicata come quella di riscrivere completamente la personalità del personaggio e del mondo dove si muove.
Ereditando i toni e l’estetica da “I guardiani della galassia”, aumentando l’umorismo rispetto alle precedenti avventure, il film di Waititi ridefiniva attraverso l’eroe anche il pubblico a cui si rivolgevano le sue gesta. Infatti “Ragnarok” più che ai fan della prima ora, strizzava l’occhio ai giovanissimi, che molto probabilmente non avevano visto le precedenti pellicole, ma che con tutta probabilità avevano conosciuto il personaggio attraverso i film dedicati agli “Avengers”. “Thor: Ragnarok” era il film giusto per intrattenere famiglie e vendere gadget ai giovanissimi. Da questo punto di vista la produzione si è rivelata vincente, nonostante una buona parte di pubblico non apprezzò il risultato finale, come pure parte della critica.
“Thor: Love and Thunder” continua esattamente sulla linea tracciata dal precedente e, come era lecito aspettarsi, punta ancora più platealmente ad essere un’avventura prima di tutto per bambini. Questa volta Waititi rischia molto di più esacerbando aspetti come l’umorismo. Il risultato è un film che vive di eccessi e spreca gran parte del suo tempo in inutili siparietti comici, faticando a far decollare un racconto che alla base non vuole essere banale, ma all’atto pratico finisce per lo più per annoiare. Durante la visione è palese come in questo capitolo le necessità del regista abbiano cozzato con quelle dello studio, dando vita a coloratissimo guazzabuglio.
La storia di “Thor: Love and Thunder” inizia dopo “Avengers: Endgame”. Avevamo lasciato l’obeso Dio del tuono a bordo della Milano in compagnia dei guardiani della galassia. Il gruppo capitanato da Star Lord gira per lo spazio aiutando popoli e specie in pericolo. Tutto sembra procedere per il meglio fino a quando Thor viene informato che un folle di nome Gorr (Christian Bale), sta uccidendo tutti gli dei che gli capitano a tiro. Preoccupato per il destino della sua terra, Asgard, Thor vi farà ritorno e da lì con l’aiuto di Valchiria (Tessa Thompson) e la ritrovata dottoressa Jane Foster (Natalie Portman), inizierà un viaggio per fermare la follia omicida di Gorr.
“Thor: Love and Thunder” è un film che non funziona, in quanto la somma delle sue parti non sono sufficienti a renderlo uno spettacolo piacevole. La ricerca ossessiva di un’atmosfera goliardica, mal si sposa con i momenti drammatici portati avanti solo ed unicamente dal personaggio di Bale. Ci si ritrova a vedere sequenze come la morte della figlia di Gorr a inizio del film, alternate a siparietti imbarazzanti come l’incontro Zeus (Russel Crowe). Il risultato è che tutto sembra accadere meccanicamente, che le azioni dei personaggi siano mosse dalla voglia di baracconata, più che da un nobile motivo. Se il precedente “Ragnarok” aveva indispettito solamente i fan questo potrebbe riuscire a scontentare tutti. Difficile trovare un motivo per guardarlo.