The French Dispatch – Anderson greatest hits
“The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun” di Wes Anderson (da qui “The French Dispatch”), proprio come il finto giornale che porta sullo schermo, potrebbe essere un’appendice del suo cinema, o forse questa è una semplice speculazione di chi scrive. Certo è che l’ultimo film del regista americano porta dentro tutte le ossessioni estetiche su cui da sempre si fonda, ma allo stesso tempo sembra volerle distruggere, in un corpo cinematografico che non esalta l’autorialità ma cerca l’autodistruzione della stessa. “The French Dispatch” lancia un messaggio funereo allo sguardo, intimandolo ad andare oltre e non accontentarsi del linguaggio visivo, che può divenire in un attimo una camicia di forza che trasforma l’autore in esecutore, per concentrarsi sul contenuto. Forse è questa la scommessa del cineasta americano, invogliare lo spettatore a impegnarsi sull’analisi del testo prima che sul godimento visivo, proprio come l’editore protagonista del racconto, che di fatto deve immergersi tra le righe/vite dei suoi scrittori.
Tutto inizia con la morte di Arthur Howitzer, Jr. (Bill Murray) editore dell’inserto di approfondimento del “Liberty Kansas Evening Sun” chiamato “The French Dispatch”, il cui scopo è portare un po’ di coltura europea oltreoceano. Come da testamento di Howitzer, alla sua scomparsa il giornale deve chiudere pubblicando un ultimo numero di commiato, contenente i tre articoli più rappresentativi che la testata ha pubblicato nella sua storia e un necrologio. Ecco quindi che per la sua ultima comparsata nelle edicole il “The French Dispatch”, riporterà alla memoria dei lettori questi tre scritti: “IL REPORTER DI CICLISMO”, “IL CAPOLAVORO NEL CEMENTO” e infine “REVISIONI A UN MANIFESTO”. Durante una comparsata televisiva il cronista Roebuck Wright, facente parte della redazione, racconta anche un altro episodio che porto all’articolo “LA SALA DA PRANZO PRIVATA DEL COMMISSARIO DI POLIZIA”, descrivendo così non solo gli eventi accaduti durante una cena, ma anche il modo in cui Howitzer analizzava e sceglieva gli scritti. Riportare alla memoria gli articoli più rappresentativi del “The French Dispatch”, permette alla redazione di rivivere le loro vite e al lettore di riscoprire, attraverso questi racconti episodici, momenti dimenticati di un passato che non sembra poi molto dissimile dal presente.
La parola e l’importanza della stessa è al centro dell’ultima fatica di Anderson. Mai come in questo caso il cineasta riflette sull’importanza della comprensione della stessa, sulla differenza tra scritto (certezza) e visivo (immaginazione). “The French Dispatch” per tutta la sua durata, che supera di poco i novanta minuti, non cerca di essere accomodante con il pubblico che sta dall’altra parte dello schermo e che magari si aspetta una versione potenziata del suo “The Grand Budapest Hotel“. Anzi questo film è la dimostrazione che una cifra stilistica, anche reiterata, non diviene un marchio di fabbrica dai risultati tracciati. Un po’ come nell’episodio “IL CAPOLAVORO NEL CEMENTO”, in cui viene chiesto ad un artista (Benicio Del Toro) di produrre ancora opere simili a quella che lo ha portato al successo, così da far arricchire il gallerista, ma nel farlo la creatività esplode non più su tela, ma sui muri di un carcere di massima sicurezza, dove rimarranno confinate e visibili a pochi fortunati.
Ecco “The French Dispatch” è proprio questo, un film che distrugge lentamente tutte le certezze che lo sguardo si è costruito negli anni riguardo questo autore. Un ermetico esercizio di autodistruzione, che porta alle estreme conseguenze un’estetica matura al punto d’aver raggiunto la sua stessa fine. Anderson con un cast come sempre corale ed eccezionale, con “The French Dispatch” dirige il necrologio del suo stesso sguardo nei confronti del mezzo cinematografico. Un film pieno e vuoto allo stesso tempo, che non vuole necessariamente piacere, ma si accontenta di raccontare un passato immaginario, specchio tornasole di una società abituata all’input immediato e sempre più distante dalla riflessione ponderata. Gli amanti dei “diorama film “del regista sono avvisati: “The French Dispatch” è il film che ve li farà odiare, ma paradossalmente vi farà riflettere sui perché li avevate amati così tanto.