Tenet

“Tenet” di Christopher Nolan arriva come un fulmine a ciel sereno nelle sale, segnando lo scarto netto tra opera cinematografica e racconto seriale televisivo o meno, in un tempo in cui sempre più voci inneggiano alla fine della sala in favore del piccolo schermo. Le due ore e trenta di questa avventura che mischia con disinvoltura, il noir con la spy story e la fantascienza con il dramma familiare, sono la dimostrazione che la grammatica cinematografica può esistere solo nelle dimensioni enormi dello schermo di una sala e per una durata ben definita, mai dilatata, ma inutilmente frammentata.

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[dropcap style=”bordered” color=””]T[/dropcap]“Tenet” racconta la missione di un agente segreto (senza nome) interpretato da John David Washington, che deve evitare la terza guerra mondiale pronta ad esplodere per mano di un trafficante di armi russo Andrei Sator. Quest’ultimo possiede una tecnologia in grado di invertire lo scorrere del tempo che applicata al mondo intero, potrebbe riportare il pianeta indietro fino alla sua nascita. Il protagonista aiutato dalla bellissima moglie di lui Kat e dall’ambiguo Neil (Robert Pattison), si lancerà in una lotta per la salvezza dell’umanità e della realtà per come la conosciamo.

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Il cinema di Christopher Nolan, da sempre volutamente cervellotico, con “Tenet” sembra finalmente spogliarsi di quella pesantezza narrativa che curava in modo ossessivo gli incastri della storia, per abbandonarsi all’aspetto giocoso della stessa. Quest’ultimo film più che il didascalico e ridondante “Inception” ricorda da vicino quella piccola perla che fu “The Prestige” (o per come gioca con il montaggio “Memento”). Come nel film in cui i due illusionisti si sfidavano, in “Tenet” il regista gioca nuovamente con la percezione dello sguardo, finalmente il cinema del cineasta riparte dalle immagini e non dagli intrecci teorici divisi a compartimenti stagni, che opprimevano la narrazione visiva tramite dialoghi necessari a contestualizzare in cosa ci si sarebbe imbattuti poco dopo (esempio lampante la reiterata spiegazione della dinamica temporale di “Inception”, che come conseguenza ha portato ad un finale inutilmente ambiguo). In “Tenet” il racconto è ridotto ai minimi termini ed è proprio il mezzo cinematografico a ingarbugliare, prima, per sbrogliare poi, la dinamica degli eventi rimettendo allo sguardo il potere del racconto.

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Ma Nolan seppur con questo “Tenet” firmi la pellicola definitiva per decifrarne le coordinate autoriali, rimane sempre e comunque lui, sia nel bene che nel male. Infatti anche questa volta i protagonisti non sono mai veramente interessanti, si fatica a parteggiare per loro, nonostante il film li metta alle prese con un antagonista dai toni estremamente classici (quasi fuori tempo) ma decisamente riuscito. “Tenet” rimane comunque afflitto da questa sensazione di urgenza costante, che alla lunga finisce per appesantire la visione di coloro che non accettano di abbandonarsi alle immagini. Seppure lo stesso Nolan nei primi minuti della pellicola dialogando con lo spettatore, inviti quest’ultimo a non crucciarsi nella comprensione del film ma di sentirlo, di viverlo, lasciarsi trasportare dal racconto, risulta veramente difficile credere che questa sia un’opzione possibile. Ma in realtà è l’unica se si vuole godere appieno dello spettacolo. Se invece ci si sofferma sui particolari, sull’ossessiva ricerca della quadratura a cui il regista ci ha da sempre abituati, “Tenet” finirà per schiacciare lo sguardo, perché, soprattutto nella parte finale, per Nolan rimane la necessità di creare comunque uno spettacolo ermetico (che però zoppica ancora leggermente nelle scene d’azione).

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“Tenet” è quindi un film imperfetto, forse il più “sbagliato” tra quelli del regista inglese e anche per questo quello che paradossalmente merita il maggior numero di visioni/revisioni, perché proprio in quei piccoli cedimenti, in quei fori su di un muro immaginario pronto a sgretolarsi, si trovano le parti che rendono la pellicola così interessante e così importante nella filmografia di Nolan. “Tenet” mette anche in luce il limite di un cinema contemporaneo, incapace ormai scrivere, o adattare con propria personalità, una storia per lo schermo limitandosi come Caronte a traghettare su di esso racconti già scritti, mappe di un immaginario preesistente fin troppo conosciuto e analizzato per rivelare una qualche interessante deriva filmica (il concetto critico spesso si e ridotto al misero confronto 1:1). “Tenet” è allo stesso tempo un titolo estremamente moderno nella forma, ma anche estremamente classico nella struttura, perché di fatto Nolan non attinge da un fumetto, libro o videogioco, ma dal cinema stesso (è innegabile che i film di Bond echeggino allo stesso modo in cui il concetto di tempo ricordi quello portato sullo schermo da Terry Gillian qualche decade addietro), trasformando “Tenet” il film, nel vero protagonista dello spettacolo (è forse per questo che rispetto ad altri sui titoli i personaggi qui sono molto più abbozzati o addirittura senza nomi). Perché di fatto la cosa più interessante di “Tenet” è “Tenet” stesso, in un circolare gioco di azione/reazione o reazione/azione, ma questo sta a voi deciderlo, a patto che non rimaniate imprigionati nelle domande a cui la pellicola, questa volta, lascia a voi dare risposta.

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