Spanglish – Parlare non vuol dire spiegare
Nella benestante famiglia Clasky tutti stanno bene, la mamma (Tea Leoni) è fiera e bellissima, il padre (Adam Sandler) è un cuoco di successo con il lusso di poter passare molto tempo con i famigliari, la suocera (Cloris Leachman) è felice quando beve ed i figli crescono con il bisogno dei genitori. La vita regala alla famiglia un sacco di soddisfazioni e di libertà, ciononostante la madre per poter curare al massimo i figli decide di avvalorarsi di una governante che svolga le quotidiane faccende domestiche.
Alla porta dei Clasky arriverà Flor Moreno (Paz Vega) una messicana che non parla altra lingua oltre lo spagnolo, ma che ha bisogno di quel lavoro per poter dare alla propria figlia i sogni necessari per crescere migliore della madre stessa. “Spanglish” a prima vista potrebbe sembrare una variante sul tema “Mary Poppins” o “Mrs Doubtfire” in realtà si rivela una romantica visione dell’incomunicabilità tra persone, infatti nella famiglia Clasky tutti parlano ma nessuno si comprende. James L. Brooks torna a dirigere un altro film dopo il successo ottenuto con “Qualcosa è cambiato”, anche questa volta l’amore, l’altrui necessita ed il bisogno di rapportarsi con altre persone è il tema portante della pellicola.
Ove un paio di anni fa avevamo un Jack Nicholson tronfio di se che lentamente sgretola le sue convinzioni, in “Spanglish” fa la sua comparsa un insicuro Adam Sandler il quale assumerà coscienza di se stesso con il proseguire della storia. Anche questa volta ci troviamo di fronte ad una pellicola con un personaggio mutante però non esteriormente nelle azioni e modi di fare, ma interiormente. Grazie all’arrivo di Flor, una Paz Vega di cui ci si innamora appena questa fa la sua comparsa sulla scena, ed all’impossibilità dei due di comunicare direttamente in modo verbale, cambierà profondamente la percezione che John Clasky possiede delle altre persone ma senza intaccarne i modi, o la delineata personalità.
Questa parte è affidata ad un Adam Sandler in gran spolvero che dopo aver dimostrato un talento incredibile in “Ubriaco d’amore”, qui riesce a far percepire i nuovi pezzi di puzzle dell’identità del personaggio attraverso non solo alla mimica facciale, ma anche all’accuratezza dei movimenti, una recitazione minimalista nei modi che porta avanti degli intenti giganteschi, ma che strizza anche inevitabilmente l’occhio alle ultime interpretazioni di Bill Murray con dovute ed ovvie proporzioni.
Spesso e volentieri ci si ritrova a non poter parlare con qualcuno a causa delle barriere linguistiche, ma quante volte ci siamo fermati a pensare se quello che diciamo viene percepito per come noi lo intendiamo? Possiamo essere sicuri una volta arrivati alla fine di un qualsivoglia discorso che il nostro interlocutore lo abbia recepito correttamente? Ecco “Spanglish”, titolo che nasce palesemente dall’unione delle due lingue, di J.L.Brooks forte di una classicità da commedia moderna la quale risulta un’arma a doppio taglio, prova a metterci davanti a queste domande utilizzando uno spunto interessante che è quello dell’inserimento di un’anomalia in una macchina rodata, ma siamo sicuri che tutti i mali vengono per nuocere?