Sorcerer: il capolavoro incompreso di William Friedkin
Nella carriera di William Friedkin non sono mancati insuccessi al botteghino, ma spesso questi non hanno nulla a che fare con la qualità delle sue opere. Uno degli esempi più eclatanti è Sorcerer – Il salario della paura (1977), un fiasco commerciale e stroncato dalla critica dell’epoca. Manco a dirlo, il film in questione è un capolavoro di tensione e messa in scena, perfetta sintesi di un cinema di fine anni Settanta che si scontrava con gli elementi della natura e con una narrazione estrema e irripetibile.
Un film che anticipa i tempi
Friedkin, nel realizzare questo nuovo adattamento del romanzo Le salaire de la peur di Georges Arnaud, anticipa di poco l’estetica visiva della natura che pochi anni dopo troverà piena espressione in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Entrambi i film rendono gli elementi naturali protagonisti al pari dei personaggi: forze implacabili, incontrollabili e dal potere narrativo straordinario.
La trama: una missione suicida
La storia segue quattro criminali molto diversi tra loro per tipologia e nazionalità, finiti su un’isola dispersa nel Sud America:
- Jack: un rapinatore newyorkese,
- Victor: un bancarottiere francese,
- Nilo: un sicario,
- Kassem: un terrorista palestinese.
Disperati e in cerca di una via di fuga, accettano un incarico suicida: trasportare un carico di nitroglicerina attraverso l’isola per spegnere un incendio in un pozzo petrolifero. Il viaggio si svolge a bordo di camion fatiscenti, su strade impossibili e con pericoli in ogni angolo. Il premio? Passaporti e una somma di denaro sufficiente per lasciarsi alle spalle quell’inferno. L’impresa, al limite della follia, li porterà a confrontarsi con ostacoli inimmaginabili, dove la morte è sempre dietro l’angolo.
Un film fuori dal tempo e dal pubblico
Guardando oggi Il salario della paura, non è difficile capire il motivo del suo insuccesso al botteghino. Quella di Friedkin non è certo una pellicola che prende per mano lo spettatore e lo guida attraverso la storia: dopo una rapida introduzione incrociata dei protagonisti, lo catapulta in un incubo senza via d’uscita. Il film è uscito nel periodo sbagliato, in un’epoca in cui il pubblico cercava forme d’evasione diverse, più leggere e rassicuranti. Paradossalmente, lo stesso accadrebbe oggi, con un’audience più interessata al contorno che non all’opera, e spesso troppo pigra per lasciarsi coinvolgere da una narrazione che non espone tutto in modo esplicito.
Un’opera visivamente enorme
Il titolo originale, Sorcerer, prende il nome da uno dei camion protagonisti del viaggio, sottolineando il carattere quasi mistico della storia. Il film si distingue per una regia rigorosa e mozzafiato, con sequenze iconiche come l’attraversamento del ponte, un momento di suspense pura che oggi sarebbe svilito dalla CGI. La scena in cui i protagonisti attraversano il ponte traballante sotto la pioggia battente è una delle più incredibili mai girate, frutto di mesi di riprese estenuanti in condizioni climatiche proibitive. Il finale, immerso in un paesaggio che sembra lunare, amplifica il senso di disperazione e fatalismo che pervade l’intera opera.
Un viaggio senza redenzione
Nel mondo di Il salario della paura, la sopravvivenza è legata più al caso che a un calcolo razionale. Il destino sembra giocare con i protagonisti, concedendo loro una via di fuga solo per strappargliela subito dopo. La colonna sonora elettronica dei Tangerine Dream, la fotografia di Dick Bush e John M. Stephens e le intense interpretazioni del cast contribuiscono a creare un’esperienza cinematografica ipnotica e implacabile.
Se la semplicità è spesso la chiave per un grande cinema, Il salario della paura ne è un esempio lampante. Un film che, nonostante il suo passato turbolento, merita di essere riscoperto e ammirato come una delle opere più intense e sottovalutate di Friedkin. Un viaggio nel cuore della miseria umana, senza possibilità di ritorno.