Smile

Smile – Tanto fuoco e poco arrosto

Diretto da Parker Finn, “Smile” è tratto da un cortometraggio dello stesso regista. Il film cerca di mediare tra l’estetica dell’horror americano inaugurata da “The Ring” di Gore Verbinsky e l’esposizione dei film indie di genere, come ad esempio “It Follows“. Non si basa interamente su un meccanismo facilmente decodificabile dal grande pubblico in cerca di spavento, ma si avvale di una struttura temporale simile a quella ideata da Hideo Nakata in “The Ring”. Piuttosto che essere originale nel soggetto, “Smile” cerca la sua identità nella forma, offrendo uno spettacolo che diventa interessante solo verso la fine.

Smile

Il film racconta la storia di Rose Cotter (interpretata da Sosie Bacon), una giovane psicologa che, dopo aver assistito al suicidio di una paziente, comincia a credere che dietro quel gesto estremo ci sia un’entità maligna che ha posseduto la suicida. Rose giunge a questa conclusione perché inizia a manifestare gli stessi sintomi della sua paziente dopo l’evento tragico. Inizia quindi a indagare sulla paziente scoprendo una serie di suicidi collegati, interrotti solo una volta da un uomo attualmente in carcere. Dopo averlo interrogato, Rose scoprirà di essere entrata in contatto con un’entità che trae forza dai traumi e dalle paure delle sue vittime, scegliendo successivamente la prossima vittima tra coloro che mostrano segni di suicidio imminente. Inizia per Rose una discesa nella follia mentre cerca un modo per salvarsi da se stessa prima che sia troppo tardi.

Smile

“Smile” è un film che ha poco da raccontare ma molto tempo per farlo, finendo per sprecare un’interessante idea di base. Sebbene il confine tra realtà e follia sia sempre affascinante, la sceneggiatura stessa di Parker Finn affossa il lavoro, concentrata eccessivamente sulla creazione di spettacolo, appiattendo completamente tematiche interessanti o l’immaginario horror che appare solo nella parte finale del film, perdendo l’occasione di affascinare. Dopo aver visto “Smile”, la sensazione che rimane è quella di aver assistito a un film alla ricerca di una propria personalità nei movimenti di macchina, legato a una struttura narrativa troppo abusata. L’idea di base c’è e si manifesta solo negli ultimi minuti, ma c’è almeno un’ora di film in cui tutto ciò che accade è prevedibile e noioso.

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