Robocop

Robocop – Il passato sconfigge il presente

Il nuovo “Robocop” appartiene a quella serie di rifacimenti teoricamente impossibili di titoli culto come ad esempio “La Casa”. Il remake del film horror diretto da Fede Alvarez è andato oltre ogni rosea previsione, non solo svecchiando un classico senza scendere a compromessi con gli stilemi odierni del genere, ma riuscendo a modernizzarne forma ed estetica, che nel frattempo erano decisamente cambiati nel ventennio che lo separava dal capostipite. Il regista brasiliano José Padilha, oggi come ieri Alvarez, accetta la sfida analoga di dirigere la nuova versione di “Robocop”, ma al contrario di quanto successo con “La Casa”, qui le disfunzioni affossano anche i pochi pregi della pellicola.

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Il nuovo tutore della legge è oggi umano più di quanto il suo corpo non voglia far credere, vive di emozioni e conserva tutti i suoi ricordi. Nel film precedente il poliziotto umanoide era l’ultimo viatico per la redenzione dei crimini di un’intera città/generazione, ed era necessario per farlo che la macchina fosse mescolata all’uomo. Oggi invece è lo strumento di marketing perfetto per promuovere altri prodotti. Se l’uomo vuole una ibridazione di sé per avere l’illusione della sicurezza, allora è giusto consegnargliela, se la preferisce colorata allora la si vernicia (illuminante in questo senso la decisione dell’aspetto che dovrà avere in base agli studi di settore).

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Quindi la pellicola di José Padilha diviene metafora della macchina produttiva moderna, interessata maggiormente a piazzare gadget e recuperare gli investimenti in home-video, trasformando in esercizio propedeutico alla vendita d’altro il corpo del cinema, che deve essere visibile e comprensibile a tutti, ed essere politacamente corretto.

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Ma il vero colpevole di questo Grand Guignol cinematografico è la sceneggiatura incapace di coesione tra gli argomenti che contiene, dimostrandosi così se trattare l’argomento del libero arbitrio, il conflitto uomo-macchina o la libertà d’informazione, scordandosi completamente di dare al film un catalizzatore, leggasi cattivo, che riesca ad unire tutti i fili e dare un senso al sacrificio di Alex Murphy. Se non altro alla fine si può confermare con estrema lucidità l’impossibile rifilmabilità delle opere di Paul Verhoeven.

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