Point Break (2015) – Vuoto a tutta velocità
L’originale “Point Break” diretto da Kathryn Bigelow non è sicuramente un capolavoro inavvicinabile, ma certamente rimane uno dei migliori film d’azione tra quelli usciti durante la decade novanta. Nel tempo è divenuto un cult e in linea di massima potremmo affermare che nonostante siano passati quasi vent’anni dall’uscita nelle sale, lo spettacolo che riesce a regalare è ancora adrenalinico e avvincente.
Il remake diretto da Ericson Core ha tentato in ogni modo di prendere le distanze dal modello originale, purtroppo se ci fosse realmente riuscito adesso potremmo guardarlo senza rapporto alcuno con il passato, ma diviene difficile quando regista e sceneggiatore inserisco di forza alcuni momenti strappati dal vecchio “Point Break” (chi conosce il film della Bigelow li riconoscerà all’istante).
Quindi tagliando corto, possiamo dire fin da subito che questo remake esce completamente perdente da un confronto con la pellicola del 1991, meglio quindi evitarlo e dimenticarsi della parentela scomoda. Il film di Core sceneggiato (pessimamente) da Kurt Wimmer, racconta le vicende di Utah (Luke Bracey), agente del FBI che insegue una banda di ecoterroristi amanti dei sport estremi al cui comando troviamo Bodhi (Edgar Ramirez), il quale sta tentando di portare a termine le “sette prove di Ozaki”. Queste peripezie hanno il fine ultimo di restituire alla terra ciò che l’uomo ha da lei sottratto, Bodhi e compagni per compierle rapineranno banche, faranno saltare in aria miniere d’oro e altro ancora.
Il regista cerca in ogni modo di dare una coerenza ai fatti contenuti nella storia, ma purtroppo ne rimane impastato come un animale che cerca di sfuggire da una vasca di pece. “Point Break” è la rappresentazione del controsenso, ove gli eventi mostrati rappresentano l’esatto opposto di quanto la storia racconta, costruendo sequenze d’azione di patinata spettacolarità (la scena d’apertura regala veramente uno spettacolo coinvolgente), che lentamente si trasformano nell’unico motivo d’esistenza dell’intera pellicola (ma purtroppo diventano via via sempre più scialbe). Ogni volta che una pausa dall’azione dovrebbe portare avanti personaggi e racconto, la sceneggiatura cede rovinosamente, diviene involontariamente ridicola nel suo tentare di giustificare il tutto (giustificare, non raccontare).
Kurt Wimmer sembra aver scritt tutto di un fiato (magari con un compositore automatico), senza alcuna rilettura o revisione (giusto per comprendere la coerenza tra le varie parti) e quindi mentre i protagonisti parlano di ecologia, dell’importanza della natura e dei danni che l’uomo ha fatto e sta perpetrando alla terra, vediamo che per mettere le cose apposto e ristabilire un equilibrio rapinano una banca, o un carico di banconote (il nesso tra le banconote e l’inquinamento diviene difficile da collegare anche per le menti più fantasiose). Questo è quello che propone “Point Break” di Ericsson Core, ossia nessun motivo valido per essere visto, al di là del titolo che porta.