Paradise Beach: Dentro l’incubo

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Paradise Beach – Squali e sopravvivenza

Di tanti registi europei giunti nella corte dei grandi studi hollywoodiani lo spagnolo Jaume Collet-Serra è sicuramente uno di quelli che riesce a riscuotere un certo successo tra il pubblico e le major. A ben vedere il motivo di questo è molto semplice, rispetto a molti altri invece di fare a cazzotti con i produttori, si limita a fare il suo mestiere e portare a casa la pellicola che gli viene richiesta. Barcellonese che si fece notare con il riuscito “Orphan”, Serra ha poi, volontariamente o per necessità, legato la sua carriera a una scia di film d’azione con protagonista Liam Neeson. Il sodalizio tra i due ha innegabilmente giovato ad entrambi.

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Neeson ha collezionato tutta una serie di pellicole riuscite che vanno ad aggiungersi a quel filone inaugurato con il primo “Taken”, mentre il regista ha potuto costruirsi una certa fama tra i produttori. Con “Paradise Beach: Dentro l’incubo” (“The Shallows” in originale), Serra si separa dall’attore inglese, abbandona l’action e concentra tutte le sue abilità per mettere in piedi un one-woman show con protagonista Blake Lively. Il film racconta la drammatica avventura di Nancy, una giovane ragazza amante del surf, passione ereditata dalla madre morta da poco. Per affrontare la perdita del genitore, la nostra Nancy decide di trovare una misteriosa spiaggia messicana, dove la madre si era fotografata da giovane intenta surfare.

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Purtroppo la giornata prenderà una brutta piega quando verrà aggredita da uno squalo, ritrovandosi bloccata su di uno scoglio nell’attesa di un aiuto o di trovare un modo per scappare dal pericoloso predatore. “Paradise Beach” ha sicuramente due qualità. La prima risiede nell’abilità del regista di creare e gestire adeguatamente la tensione necessaria per appassionare lo sguardo alla vicenda. Mentre la seconda va ricercata nella durata estremamente risicata della pellicola, resa necessaria al fine di non trasformare la tensione della seconda parte in noia e disinteresse. Il primo tempo di “Paradise Beach” ci introduce al personaggio, facendocelo conoscere lentamente così da delinearne la personalità senza scendere troppo nei particolari.

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Il secondo tempo invece mette in scena la lotta per la sopravvivenza di Nancy, costantemente braccata da quel predatore inarrestabile che è lo squalo bianco. Il film di Jaume Collet-Serra non inizia visivamente al meglio, anzi tutti quelle sovraimpressioni di messaggi al cellulare non fanno presagire niente di buono, ma fortunatamente quando parte la lotta per la sopravvivenza di Nancy, gli si perdona molte delle cadute di stile.

“Paradise Beach” non è un film sul mostro, il centro nevralgico non è l’animale come ne “Lo Squalo” di Spielberg, ma la sopravvivenza dell’essere umano alle insidie della natura. Nel complesso il film non mette davanti allo sguardo nulla di particolarmente originale e qualsiasi spunto di riflessione è azzerato, ma intrattiene a dovere e per un b-movie che non cerca di essere niente altro che questo, riuscire in questa impresa è già un ottimo risultato.

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Paradise Beach: Dentro l’incubo
2.5
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