No Time to Die

No Time to Die – Un finale coraggioso

E’ tempo di tirare le somme per il James Bon di Daniel Craig e “No Time to Die” fa esattamente questo. Con una durata che sfora le due ore e mezza il regista e sceneggiatore Cary Joji Fukunaga (“True Detective”), porta sullo schermo un kolossal d’azione capace di unire tutto l’universo bondiano dell’epoca Craig, per portarlo verso una degna ed epica conclusione. Non manca ovviamente un nuovo cattivo da combattere e l’ennesima catastrofe mondiale da sventare, ma in questo nuovo film la spia creata dalla penna di Ian Flemming, avrà il suo bel da fare per mettere ordine nel proprio passato. Perché se come recita il titolo non è tempo di morire, sicuramente per l’agente doppio ero è arrivato quello per amare.

Dal passato non si sfugge, lo sa bene James Bond che nonostante abbia arrestato il capo dell’organizzazione “Spectre”, Blofeld (Christoph Waltz), viene comunque perseguitato dai seguaci di quest’ultimo. Costretto ad abbandonare Madeleine (Léa Seydoux) a causa di un inganno, l’agente segreto al servizio di sua maestà si ritira in una pensione/esilio. Pace e tranquillità non dureranno a lungo e a interromperle ci penserà un vecchio amico di Bond, l’agente della CIA Felix Leiter (Jeffrey Wright). Questo lo informerà che l’MI6 ha perso un’arma letale e che con il suo aiuto potrebbero recuperarla prima che finisca nelle mani di qualche terrorista. I due partiranno per la volta di Cuba, ma dopo aver scoperto che l’arma in questione è un virus biologico capace di uccidere ceppi genetici selezionati, le cose prenderanno una piega inaspettata. Di ritorno a Londra Bond dovrà ancora una volta confrontarsi con il proprio passato e anche con un presente che non gli appartiene più. Ovviamente il tempo a disposizione per portare a termine la missione nemmeno questa volta volge a suo favore, specie quando scoprirà che il virus è finito nelle mani del bioterrorista Lyutsifer Safin (Rami Malek).

“No Time to Die” come tutti i film che lo hanno preceduto, continua la storia di Bond esattamente dove questa era rimasta. La più interessante novità della serie di pellicole interpretate da Daniel Craig è questa serialità orizzontale adottata per raccontare il personaggio, senza limitarsi all’avventura contro il mitomane di turno. In questo Fukunaga sembra la figura giusta da mettere dietro all’ultima avventura di 007, sopratutto in virtù dei suoi trascorsi televisivi. Infatti “No Time to Die”, nonostante una durata fin troppo estesa per il racconto che porta sullo schermo, riesce ad approfondire tutti i personaggi che hanno accompagnato la spia britannica nel quasi ventennio Craig. Il regista sceneggiatore californiano, aiutato dalla coppia di sceneggiatori Purvis/Wade, autentici veterani del personaggio, ma anche dalla giovane Phoebe Waller-Bridge, è riuscito a chiudere praticamente ogni linea narrativa iniziata nel 2006 con “Casino Royale” e proseguita nelle successive pellicole. Il prezzo da pagare per un così riuscito epilogo del personaggio è una missione decisamente sottotono, non per quanto riguarda l’azione portata sullo schermo, ma per la storia di spionaggio che non riesce ad essere mai veramente interessante, ma sopratutto “autoportante”.

Ma se il virus e il cattivo che lo vuole vendere al miglior offerente funzionano a ritmo alternato, in “No Time to Die” a rappresentare il maggior punto d’interesse è sicuramente la decostruzione del personaggio principale. In questo capitolo 25 Fukunaga riflette sugli stereotipi che da sempre accompagnano la spia britannica e lentamente inizia a distruggerli, si perché per rendere al passo coi tempi la spia di Ian Flemming il modo migliore non è più adattarla a un corpo cinematografico attuale, ma demolirla oggi per riscriverla nuovamente domani. Un esempio lampante di questo è rappresentato dalle figure femminili presenti in “No Time to Die”. Fine della loro presenza come espediente narrativo, o “elemento d’arredo”, ma hanno un loro peso specifico nell’economia della storia e nel ridipingere lo scenario bondiano. Il romanticismo ed il melò carambolano sullo schermo in più di un’occasione restituendoci un James Bond uomo prima che eroe, una figura che può essere ferità e che porta su di se il fardello dei sentimenti, proprio come chiunque altro. “No Time to Die” mette in condizione chi sta dall’altra parte dello schermo di affezionarsi finalmente al personaggio e non di tifare solamente per lui in quanto eroe. Se quindi per lo più il film non risulta mai davvero interessante nell’intrigo di situazioni, convince e appassiona per le scelte che il suo protagonista dovrà compiere, sopratutto perché per la prima volta sono veramente difficili da compiere per il non più inossidabile James Bond.

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In breve
"No Time to Die" riflette sugli stereotipi che da sempre accompagnano la spia britannica e lentamente inizia a distruggerli.
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