Midsommar

Midsommar – Orrore in piena luce

In “Midsommar” di Ari Aster tutto viene spiegato all’inizio del film, annullando praticamente ogni sorpresa al primo fotogramma, eppure in questo nuovo horror del regista americano siamo portati a negare il pericolo e l’ovvietà proprio come i protagonisti. Dani è una ragazza ansiosa, per il fidanzato Christian una vera palla al piede, ma una tragedia che colpisce la famiglia di lei lo porterà a continuare un rapporto per lui concluso da tempo. La sorella di Dani, suicidandosi, ammazza pure il padre e la madre e lo fa proprio quando Dani su consiglio di Christian decide di non rispondere alle sue chiamate.

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Lo shock di tale perdita per la ragazza è enorme e il fidanzato decide di portarla con i suoi amici in un viaggio alla scoperta dei riti di mezza estate in giro per l’Europa. A fare loro da guida l’amico Pelle, cresciuto in una comune dove proprio quest’anno si festeggia una ritualità speciale. Arrivati in questo villaggio disperso tra le campagne svedesi, i ragazzi inizieranno a comprendere lentamente che niente in quel luogo dove non scende mai il sole, è come sembra e che il male non necessariamente si nasconde nell’oscurità. Ari Aster introduce il suo film con un disegno che di fatto è anche il riassunto globale di quanto accadrà alla protagonista Dani, nelle due ore e venti minuti di film.

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Questo non aiuta sicuramente ad annullare le sorprese che la pellicola ha però in serbo per lo spettatore, ma ad una seconda visione, aiuterà sicuramente la comprensione di alcuni passaggi che potrebbero apparire criptici, nonostante la sceneggiatura, forte anche di una messa in scena dilatata, non sia per niente parca di spiegazioni. “Midsommar” stupisce soprattutto per due aspetti principali. Il primo squisitamente tecnico è la capacità con cui lo sguardo viene immerso in un’atmosfera malsana, in cui tutto quello che ci si ritrova a vedere è visivamente bello e accattivante e a prima vista innocuo. La seconda è che la confezione luccicante porta a voler negare cosa accadrà con il susseguirsi dei minuti.

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Il film riesce a convincere di non essere poi tanto lineare nel suo procedere quando invece lo è eccome, a negarne la palese semplicità è proprio la mente di chi guarda. Proprio in questo aspetto trova la sua ragione d’esistere. “Midsommar” di fatto è una miscela di elementi tipici, messi in scena con una capacità che va ben la qualità media dei film di genere. Aster gioca a mescolare riferimenti e certezze, pur mettendo in bella vista le conseguenze di ogni azione che i vari personaggi compiranno (il film è pieno di disegni e simboli, ognuno di questi non sono che l’anteprima di ciò che accadrà).

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“Midsommar” tramite il suo ritmo volutamente lento, cerca di sottolineare che molto spesso si è soli anche quando attorno a noi ci sono persone amiche o meno, sulla necessità di appartenenza di ognuno e lo fa attraverso Dani (splendidamente interpretata da Florence Pugh), ragazza che nonostante gli sforzi non riesce a farsi accettare da nessuno, fino al momento in cui troverà il proprio posto proprio all’interno della comune. La scommessa per il regista americano è molto alta ma può dirsi vinta, nonostante la visione di tale pellicola non sia per un pubblico “distratto” o che cerca necessariamente dal genere spaventi a buon mercato.

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Ari Aster dimostra sicuramente di avere una idea chiara riguardo al genere, ma non è così scontato che la stessa sia accettata di buon grado da chi si trova dal lato opposto dello schermo (un vero peccato di superbia potremmo dire). Purtroppo alcune scelte, tra cui il ritmo compassato degli eventi, rendono “Midsommar” un titolo fin troppo ermetico, che chiede il completo abbandono dello sguardo alle derive del racconto. Compiendo un “balzo della fede” lasciandosi accompagnare tra le maglie degli eventi, si potrebbe quasi urlare al capolavoro, cosa che “Midsommar” sicuramente non è, ma già ora è sicuramente un cult.

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