Malignant – James Wan a ruota libera
“Malignant” di James Wan riporta sul grande schermo quello che negli Stati Uniti viene chiamato “Giallo”. Dietro a questa etichetta sono raggruppati tutti i thriller/horror italiani di autori noti come ad esempio Argento, Fulci, Bava e tutti quei registi che negli anni ’70 e ’80 hanno portato spaventi di ogni tipo nelle sale cinematografiche di mezzo mondo. Il regista di “Conjuring” e “Insidious” con questa sua ultima fatica si rifà proprio a questo preciso filone, aggiornandolo ai tempi attuali e contaminandolo con molte idee anche distanti dal genere stesso.
“Malignant” racconta la storia della giovane Madison (Annabelle Wallis), ragazza incinta che vive con un marito alcolizzato e violento. Un giorno durante una lite con quest’ultimo viene ferita alla testa. Impaurita e preoccupata Madison si chiude nella propria stanza, ma mentre riposa il marito viene aggredito e ucciso da una oscura figura. Aggredita a sua volta Madison perde i sensi per risvegliarsi in ospedale. Con l’aiuto dalla sorella Sidney (Maddie Hasson), tornerà lentamente alla vita di tutti i giorni. Purtroppo però ben presto Madison scoprirà suo malgrado di essere legata a doppio filo con il suo aggressore. Infatti ogni volta che si addormenta lei rivive le uccisioni che quest’ultimo compie in giro per la città di Seattle. Convinta dalla sorella, le due andranno alla polizia iniziando a collaborare con quest’ultima per fermare la catena di omicidi. Le due donne scopriranno molto presto alcune verità sul loro passato che cambieranno per sempre le loro vite.
James Wan stupisce. Non necessariamente in senso positivo, ma con “Malignant” stupisce. La sua ultima fatica si rifà ai thriller/horror italiani degli anni ’70 e guarda sicuramente a Dario Argento. Il film ricalca molti cliché tipici delle pellicole del regista italiano, basti guardare a tutta la sequenza in cui l’assassino si costruisce l’arma con cui compiere i delitti, o i giochi di colore della fotografia che ricordano quelli di “Suspiria” (senza contare i richiami negli oggetti di scena come ad esempio guanti o altro). “Malignant” per uso di tempi e musiche ricorda veramente molto la gloriosa stagione del cinema di genere italiano, ma forte di un budget di tutto rispetto, può contare su un incipit barocco e spettacolare come pochi, ma soprattutto di un terzo atto finale assolutamente fuori da ogni schema e logica.
Il film infatti, proprio quando l’intreccio investigativo inizia a divenire poco interessante, cambia completamente registro, trasformandosi in un body horror in cui lo slasher regna sovrano, così come pure l’azione coreografata (la sequenza nella centrale di polizia testimonia la voglia del regista di osare ben oltre i limiti concessi dal genere). Ma la bravura di Wan va ricercata proprio nel suo riuscire a posizionarsi sul limite del ridicolo involontario, portandolo in scena con tale senso del ritmo e spettacolarità che si finisce per essere completamente rapiti dagli eventi, per quanto impossibili e grotteschi. “Malignant” dimostra quanto la tecnica e i mezzi utilizzati nei giusti modi possano far accettare a chiunque anche un racconto pronto a deragliare da un momento all’altro. Se per gran parte della sua durata il film ricostruisce il climax dei vari “Tenebre” o “Profondo Rosso”, (ma non nasconde un omaggio anche la caro Hitchcock) nella sua parte finale spazza via tutto per proporre qualcosa in controtendenza, capace di ribaltare ogni cosa e plasmarla a proprio piacimento, in quello che è un vero e proprio atto di coraggio di Wan nell’assalto frontale allo sguardo e alla mente di chi si trova dall’altra parte dello schermo.
Questa nuova pellicola segna il ritorno del regista al genere che con il suo “Saw” negli anni duemila ha contribuito a cambiare, magari non con la stessa forza dirompente del primo capitolo dedicato all’enigmista, ma sicuramente con uno stile e un coraggio nella messa in scena che non lasciano di certo indifferenti. “Malignant” pur andando a incastrarsi in quel filone di “horror mainstream” inaugurato con “Insidious”, non lesina e risparmia nulla sguardo, mettendo in scena un tripudio di violenza e gore che proprio nei prodotti più commerciali spesso si rivelano assenti. Certo per alcuni la svolta finale potrebbe veramente risultare indigeribile, ma vedere un regista sfogare la propria creatività senza alcun freno non solo è eccitante, ma anche incredibilmente liberatorio. Quello che inizialmente sembra il solito film con un assassino invincibile, si rivela poi un delirio filmico efficace e divertente che non lascerà di sicuro indifferenti.