L’amore Bugiardo – Non esiste il delitto perfetto
Il cinema di David Fincher è sempre più matematico, niente viene lasciato al caso e ad ogni pellicola il desiderio sembra quello di posizionare lo sguardo in un luogo preciso, fuori dallo schermo. Chi guarda deve ritornare a tutti gli effetti spettatore. Il regista americano è sempre più interessato a direzionare l’attenzione sulla storia fatta d’immagini, negando l’immedesimazione, perché il punto di vista terzo è importante, anzi sembra fondamentale tanto da rendere “L’amore bugiardo” una confezione a prima vista completamente priva di anima (?), ma gioco seduttivo per l’osservatore, vero voyeur della incredibile storia dei coniugi Dunne.
Velocissimo fin dal primo istante, la pellicola non cerca il compromesso tra narratore e fruitore, anzi taglia ogni collegamento con chi non accetta le regole e la velocità degli eventi. Fincher inscena il ribaltamento della certezza rispetto ai fatti, ogni punto fermo viene continuamente negato, costruito, incasellato e subito dopo distrutto, il tutto senza soluzione di continuità per tutta la durata della pellicola. Graziato da una estetica “morbidamente” digitale “L’amore bugiardo” è una fredda e calcolata disgregazione del thriller americano anni 90, di cui lo stesso regista ne è tra i più illustri fautori grazie a “se7en“.
Se in quel precedente film tutto si giocava nel fulmineo exploit finale, in cui si inseriva prepotentemente l’empatia nei confronti del protagonista come un compromesso accettabile, quasi dovuto per accettare la redenzione dello stesso, ne “L’amore Bugiardo” c’è una seconda possibilità per i personaggi, ma solamente una realtà da accettare, anzi fin da subito comprendiamo che non ci sarà mai un castigo, ma solamente il “delitto”. Tutto ne “L’amore bugiardo” porta lo sguardo a cambiare continuamente angolo di visione, attraverso quei servizi televisivi che sembrano l’unico giudice in grado di dichiarare l’assoluta verità del gesto, nonché via per ricostruire i fatti.
Così dall’altra parte dello schermo, in una postazione privilegiata rispetto agli eventi, ci si ritrova costretti ad analizzare in poco tempo legami e rapporti personali, causa e reazione, senza però potersi appuntare mentalmente nulla, perché verrebbe cancellato subito dopo. Nel piccolo e malsano mondo della pellicola tutti i nodi principali vengono esposti in modo indiretto, ed in quei momenti in cui l’azione in tempo reale ci viene proposta, le immagini sono quasi troppo forti tanto da voler ritornare a quei media che fino a poco prima raccontavano la storia che volevamo apprendere. A quanto pare il vero cervello da srotolare è quello appiattito dello spettatore e Fincher ci riesce a patto di accettare la menzogna alla base della storia.