La casa del diavolo

La casa del diavolo – Chi sono i reietti?

I reietti del diavolo, o famiglia Firefly per l’anagrafe, sono degli efferati assassini. Hanno compiuto decine di omicidi, stupri e quanto altro per il solo gusto di assaporare il divertimento della violenza. Non c’è logica nel loro modo di agire, ma solo sadismo ininterrotto come fossero in cerca di sublimare qualcosa del loro animo per poter trovare la pace. Ma quando uno sceriffo irrompe nella loro casa costringendoli alla fuga, i reietti del diavolo si ritroveranno a spostarsi per mezza america cercando di mettersi in salvo dalla polizia, anche se la scia di omicidi alla fine non passerà propriamente inosservata.

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Rob Zombie si siede nuovamente sulla poltrona di regia dopo il suo chiacchierato esordio ne “La casa dei 1000 corpi”, creando una sorta di road movie dell’orrore maledettamente cinetico, violento, un po’ debitore agli “Assassini Nati” di Stone, ma avente una identità stilistica talmente marcata da renderlo per forze di cose un’opera autoriale. La telecamera si muove come sotto effetto di una strana anfetamina, strazia gli occhi dello spettatore alterando punti di vista, dimensioni, dilata tempi e cattura i colori senza mai sporcarli.

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Ci ritroviamo così a vedere il ritratto di un’america completamente deviato, dove i reietti non sono poi molto dissimili dagli altri personaggi che la popolano, anzi probabilmente questi ultimi non trovano interazione nel tessuto sociale (il diavolo?) solo perché esteriorizzano e mettono in pratica quei vizi che negli puritani states vengono banditi dalla legge, come dalla informazione, ma anche dalla società stessa la quale preferisce nascondersi dietro a puerili etichette. Rob Zombie gioca con il marcio di una società che non riesce più a tollerare, l’odio pervade ogni singolo fotogramma della sua pellicola divenendo quasi palpabile, l’atmosfera che viene a crearsi è una rivisitazione in chiave moderna di quella già assaporata anni fa nel film di Hooper “Non aprite quella porta”, anche se qui il contrasto tra il pulito ed il fetido diviene quasi nauseabondo ed insostenibile.

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Scene cruente si alternano a paesaggi incantati stile “Easy Rider”, portando lo spettatore ad un finale scontato ma non per questo meno agghiacciante. Tra innumerevoli citazioni a un sacco di film di genere, Zombie cesella lentamente la morale della sua macabra storia dando così un senso a tutto il film. Un passo decisamente in avanti dal suo esordio, “La casa del diavolo” è una piccola gemma dalla difficile digestione, un po’ perché la nostra società si discosta culturalmente da quella americana, ed un po’ perché l’amara morale, finemente inserita in una sequenza finale indimenticabile, fa male in quando inossidabilmente vera ed universale. Quando vi sentite esclusi o fuori luogo domandatevi chi è il diavolo che non vi vuole nel suo inferno, ma cercate anche di intuire se questo è effettivamente un male.

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  1. Per me avevi detto tutto anche se ti fermavi al debito(mi è sembrato esserne una brutta copia miscelata all’ horror) con “Natural Born Killers”. Anche se ad accostare quest’ opera alla casa del diavolo ci vado con i piedi di piombo… Pare un po’ una bestemmia. Era meglio quando si limitavano a fare musica…

  2. Qui di sicuro non c’è un Tarantino a scrivere la sceneggiatura, ma forse questa è anche l’arma vincenta del film. Il voler estremizzare la violenza come nel film di Stone si sposa benissimo con l’impostazione da horror basso budeget anni ’70. Ovviamente questo non ha il sapore di quelle produzione indipendenti proprio in virtù del suo anno di uscita, ciononostante è un film interessante, si può rimanere delusi, anche piuttosto facilmente, ma bisogna anche ammettere che l’aver voluto osare puntare il dito contro tutti appianando le differenze tra il bene ed il male, fa si che il film scorra bene nonostante non si crei mai empatia con nessun personaggio.

  3. ehilà, auguri per l’inaugurazione del nuovo blog. ho visto solo ora il commento che m’avevi lasciato di là :p
    solo una domanda? perché usare il rosso per la scrittura? non è un po’… shocked? :p

  4. Ciao e grazie…ora hai capito come ho fatto a trovare il tuo blog. Il rosso shocking è ancora in fase di “digestione”, in realta all’inizio avevo usato l’azzurro, poi sono passato al rosso perchè mi sembra s’intoni di più con i colori del template, ciononostante nemmeno io sono convinto di tal colore dato che affatica la lettura.

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