Jupiter, il destino dell’universo – Dal pulire bagni a regina della terra il passo è breve
In un brevissimo spazio di tempo ho vissuto alcuni eventi che potrei definire coincidenze. Ho visto una pellicola che si divertiva a criticare gli adattamenti cinematografici tratti dai fumetti e non solo, mi riferisco a “Birdman“. Durante la scrittura della mia disamina riguardo quest’ultimo, ho voluto sottolineare come la parte sarcastica legata al mondo dei film con supereroi, fosse l’aspetto che ho apprezzato maggiormente del film di Iñárritu, pellicola che se da un lato ho detestato, ha almeno avuto il merito di portare sotto gli occhi di tutti come le grosse produzioni siano a senso unico e rischio zero. Hollywood si è adagiata sugli adattamenti di testi famosi, fumetti o altro, questo è innegabile. Insomma la cinematografia d’intrattenimento moderna a parte qualche eccezione è pigra -“Fast & Furious” sta al settimo capitolo, mi sembra un buon esempio di “squadra che vince non si cambia”- e per lo più impaurita dalla possibilità di proporre qualcosa di inedito.
Quando ho visto “Jupiter – Il destino dell’universo“, ammetto di essere comunque partito con aspettative basse, formatesi nella mia mente dopo aver visto quel trailer schifoso che ne ha anticipato l’uscita in sala (anche lo slittamento di un anno a film concluso non ha aiutato, devo ammetterlo). Da contro altare a tutto ciò ci sono in cabina di regia i Wachowskis (adesso si firmano così), che quando non creano film per il mero gusto di fare solamente incasso (vedere alla voce “seguiti Matrix” per comprendere a cosa faccio riferimento), non hanno mai deluso le mie speranze di divertimento (si, io mi sono divertito un mondo pure con “Speed Racer“). Una volta uscito soddisfatto dalla sala, mentre pensavo ironicamente che avevo di fatto appena visto una pellicola sicuramente imperfetta ma coraggiosa nel creare un mondo e dei personaggi cinematografici, vengo investito da una fila di donne appena uscite dalla visione di “50 sfumature di grigio“, con discorsi da far rimpiangere persino il più cretino degli esseri viventi, tra cui i vari confronti con la controparte cartacea. Ma il discorso era iniziato parlando di coincidenze, quindi facendo attenzione ed unendo i puntini ne esce un simpatico schema di eventi tra loro concatenati:
- Visione di “Birdman”
- Recensione della pellicola, con riflessione annessa legata alla quasi scomparsa di plot originali creati per il cinema
- Visione di “Jupiter”, pellicola completamente pensata per il cinema e che praticamente nessuno prende in considerazione a causa di un trailer schifoso e le orecchie da cane di Channing Tatum. Sala quasi deserta, ma i presenti erano tutti contenti alla fine.
- Incontro/scontro con miriade di donne poco soddisfatte per l’ennesimo film tratto da un libro, in questo caso “50 sfumature di grigio”, che conferma come solo gli adattamenti riempiono le sale, ma che non riescono comunque più a intrattenere a dovere.
Arrivati qui, devo ammettere che le coincidenze a volte risultano ironiche, poi sta ad ogni persona attribuire loro un significato specifico o lasciarle passare in totale trasparenza nel vortice quotidiano. Lo sa molte bene anche Jupiter (la protagonista del film), ragazza orfana di padre, nata durante l’immigrazione clandestina della madre verso gli Stati Uniti d’America sotto un cielo di stelle favorevoli in mezzo all’oceano. Lei è conscia a tal punto del potere delle coincidenze e delle stelle che fin da subito liquida il tutto con “sono tutte cazzate” (il che la dice lunga sulla praticità del suo essere). Ma quello di cui lei è all’oscuro, impegnata com’è a vivere giornate costellate di bagni da pulire e letti da rifare, è che ben presto il suo vero destino busserà alla sua porta ed inizierà un’avventura che la porterà ben oltre la sua immaginazione.
Ci sono riusciti nuovamente, magari non così bene come in precedenza, ma i Wachowskis hanno nuovamente creato una piccola perla d’intrattenimento dal sapore “fuori tempo”, o meglio non adatta ad un pubblico che negli ultimi anni è stato educato a rapportarsi al cinema confrontandolo con il materiale a cui è ispirato. Abituati a visionare pellicole ove per la maggior parte del pubblico il metro di misura qualitativo è subordinato alla fedeltà nei confronti della materia d’origine (un nuovo metro di misura che mette i brividi), “Jupiter – Il destino dell’universo” si trasforma automaticamente in un piccolo “oggetto del desiderio” per coloro che non hanno paura di perdersi verso nuove derive senza aver in tasca una bussola che aiuti a ritrovare la strada del ritorno.
Fin dal primo fotogramma i Wachowskis ci fanno respirare cinema a pieni polmoni, basta solamente vedere come vengono descritti e presentati i vari personaggi per tornare con la mente a pellicole che sembrano quasi estinte, non derivate, non punto d’arrivo ma semmai di partenza per divenire altro, magari un fumetto. “Jupiter – Il destino dell’universo” ha poi al suo interno omaggi di ogni tipo, ci sono echi di “Dune“, “Brazil“, “Flash Gordon“, “Guerre stellari” e molti altri, la lista sarebbe lunghissima e comunque non avrebbe senso negare le sorprese che i due registi hanno inserito nel loro film, contraddistinto da un sapore retrò eppure al tempo stesso proiettato nel futuro grazie ad un impianto visivo ed immaginifico che ha molto da dare. Ma non tutto funziona in questa loro pellicola, tra le disfunzioni la più grave ha un nome e cognome: Mila Kunis.
Indubbiamente affascinante e con una fisicità perfetta per il ruolo, non riesce però a dotare il suo personaggio del carisma necessario a sorreggere la storia, già ne “Il grande potente Oz” di Raimi il sospetto che in produzioni ricche di effetti speciali qualcosa nella sua recitazione stonasse si era fatta avanti, in “Jupiter – Il destino dell’universo” è arrivata la conferma. I Wachowskis dal canto loro non riescono a supportare in alcun modo la loro protagonista, dimostrandosi molto più interessati a descrivere il mondo che hanno creato, lasciando a Channing Tatum (tra l’altro molto divertente nella sua estremizzazione del classico anti-eroe) il dovere di sostenere la collega protagonista. Il secondo problema che affligge la pellicola è la sceneggiatura, densa, quasi melassa da quanti contenuti cerca di gestire, lasciandone troppi in sospeso, strade morte che appesantiscono una visione che procede comunque senza intoppi ma poteva essere maggiormente fluida (non parliamo della quasi totale staticità del precedente “Cloud Atlas” ma nemmeno dei ritmi dosati del primo “Matrix”).
Nonostante questi due enormi problemi è difficile uscire insoddisfatti dalla visione, a patto che accettiate per una volta di abbandonarvi ad essa, lasciandovi trasportare dove la forza di gravità non vi consente di andare, abbagliati dalla luce fantastica che solo un viaggio al buio di una sala cinematografica può regalare.