Jumanji – Un remake dignitoso
Jumanji è un gioco molto particolare, una volta iniziata la partita non puoi più abbandonarla, per di più quello che accade nel mondo di gioco ha conseguenze in quello reale. Lo scopriranno molto presto Spencer, Fridge, Bethany e Martha, un gruppo di liceali costretti a passare un pomeriggio a scuola per scontare una punizione. Ignari delle conseguenze inizieranno a giocare. Ad un tratto questi si ritroveranno catapultati nel mondo del gioco, una giungla, con fattezze e abilità dei personaggi da loro scelti. L’unico modo per tornare nella realtà è terminare il gioco, superando le sfide che la giungla di Jumanji metterà sulla loro strada. I ragazzi dovranno andare oltre le differenze e i dissapori, scoprendo l’importanza del lavoro di squadra.
Remake/reboot dell’omonimo film del 1995 con protagonista il compianto Robin Williams, questa nuova versione diretta da Jake Kasdan (Bad Teacher, Sex Tape), ribalta il contenuto pur non intaccandone la forma di base. Se nell’originale gli eventi del gioco (allora da tavolo, oggi un videogames) irrompevano nella realtà sottoforma delle più svariate creature, in questa nuova versione sono i protagonisti a essere trasportati e trasformati nel mondo di gioco. Se da un lato questa scelta toglie innegabilmente il fascino giocoso e quel retrogusto di fantastico proprio del “Jumanji” 1995, regista, sceneggiatori (un po’ meno a dire il vero) ed interpreti sono stati estremamente abili nel conferire una propria identità a questa rivisitazione.
Stupisce meno rispetto al capostipite, bisogna considerare che erano altri anni a livello cinematografico, ma riesce a essere un film di intrattenimento compatto e riuscito
“Jumanji” rinuncia quindi alla possibilità di scatenare la fantasia del non visto ambientando tutti gli eventi nell’universo immaginario del gioco, centralizzando ambientazioni e azioni dei protagonisti. Prende il tempo necessario per spiegare le regole a cui tutti devono attenersi per arrivare alla fine, per poi scatenare una giostra di effetti speciali, scene d’azione e siparietti comici senza soluzione di continuità, escludendo la possibilià di incappare nella noia. La pellicola procede ricalcando la struttura a livelli di un videogioco, ma d’altronde è proprio in questo media che sono finiti i personaggi, senza mai prendesi veramente sul serio riuscendo a non essere ridondante nelle situazioni proposte.
Jake Kasdan dirige con leggerezza un cast affiatato, capace di portare in modo equo il peso dell’intero film, anche se in questo caso la parte del leone spetta a Dwayne Johnson. L’attore californiano è il motore della vicenda e riesce a divertire senza eccedere, conscio di come la sua mole fisica non debba necessariamente restituire il machismo delle produzioni anni ’80. L’interprete con “Jumanji” riesce definitivamente dove altri come Schwarzenegger o Stallone fallirono in precedenza, ossia nell’adattare la propria fisicità in un genere come la commedia, liberandosi dagli stereotipi passati. Certo, anche in “Jumanji” Johnson non rinuncia al suo ruolo da protagonista assoluto, ma conferma anche una trasversalità interpretativa capace di renderlo quasi sempre l’interprete giusto al momento più opportuno.
“Jumanji” rinuncia quindi alla possibilità di scatenare la fantasia dello sguardo ambientando tutti gli eventi nell’universo immaginario del gioco, spostando l’attenzione su ambientazioni e sulle azioni dei protagonisti.
Tra omaggi alla pellicola del 1995, a cui questa si collega direttamente, passando attraverso ammiccamenti al cinema di avventura, i capitoli di “Indiana Jones” su tutti, questo “Jumanji” riesce a non sfigurare rispetto al film originale, getta le scontate basi per una serializzazione cinematografica, ma soprattutto a divertire chiunque. Stupisce meno rispetto al capostipite, bisogna considerare che erano altri anni a livello cinematografico, ma riesce a essere un film di intrattenimento compatto e riuscito, ma soprattutto onesto con lo spettatore che uscirà dalla sala conscio di un eventuale seguito, togliendo però il dubbio che le esigenze artistiche siano state piegate verso quelle produttive. Quindi un piccolo miracolo.