Immortel (Ad Vitam) – La teoria del cerchio
“Immortel” di Enki Bilal, è tratto dalla fumettosa “Trilogia Nikopol” di Enki Bilal (si, sempre lui), ed è il classico film che oltre a trasporre in pellicola del materiale cult, contiene tutte le caratteristiche proprie della “teoria del cerchio”. Ora chi come il sottoscritto è nato negli anni ’80, può orgogliosamente dire di aver applicato personalmente tale teoria, o al massimo di averla subita. Prima del dilagare dei vari multisala, quando i cinema erano ancora stanzoni giganteschi, magari divisi su due piani (si due piani in stile teatro) e la maschera che strappava i biglietti lo faceva senza prendere ordini da un display, tale dottrina si manifestava con orgogliosa fierezza in moltissime occasioni, soprattutto nei cinema di provincia.
“La teoria del cerchio” all’atto pratico era estremamente semplice e consisteva nel potere esercitato dal biglietto appena acquistato, il quale non ha mai portato i personaggi del film fuori dallo schermo come in “Last Action Hero”, ma dava la possibilità di entrare nella sala in qualsiasi punto della proiezione e di rimanerci anche tutto il giorno.
Si, avete capito bene, negli anni in cui i posti non erano numerati, potevi arrivare al cinema quando volevi, prendere il biglietto alla cassa ed entrare in sala noncurante dell’orario, potendo guardare anche lo spettacolo seguente e quello dopo ancora. Quindi capitava di vedere gente entrare all’incirca a metà del film, iniziare la visione e poi recuperare la parte mancante allo spettacolo successivo, decidendo o meno se uscire dalla sala nello stesso punto in cui erano arrivati. “La teoria del cerchio” ha causato in me un trauma infantile non da poco legato alla visione del classico Disney “Aladdin”, visto che quando mio padre mi accompagnò a vederlo, mi fece entrare in sala durante gli ultimi dieci minuti, tanto poi lo avremmo comunque visto dall’inizio. Conoscendone però già l’epilogo, vi lascio immaginare la felicità e la gioia mia in quell’occasione.
Oggi però siamo nel 2014, “la teoria del cerchio” è storia, gli spettatori sono cambiati ed i pop-corn caramellati vendono più di quelli salati (il che di riflesso la dice lunga sui gusti della gente). Tutto questo è molto ironico, visto che da quando la teoria è finita nel dimenticatoio, hanno iniziato ad uscire pellicole che al contrario di “Aladdin”, si prestano a visioni random. E con random intendo la possibilità di iniziare la visione da qualsiasi imprecisato punto del film, tanto non cambia nulla a livello di comprensione della storia. Questo non vuol dire che la trama è divenuta secondaria (o sparita del tutto), ma semplicemente che è talmente aggrovigliata (oppure semplice) che a fine visione ognuno la comprende a modo proprio e comunque indiscriminatamente corretto. “Immortel (Ad Vitam)” è un autorevole esempio di questa tipologia di pellicole, nonché uno dei film che fa più inutilmente discutere alle feste sulla qualità della trasposizione. Essendo sia il fumetto che la controparte di celluloide curata dalla medesima persona, tutti coloro che per darsi un tono si riempiono la bocca di spiegoni tipo: “fiacca trasposizione del materiale di partenza”, ottengono l’effetto contrario non appena spunta uno stronzo (presente) che mette in evidenza la cavolata appena uscitagli di bocca. Ma torniamo alla cosa più importante, l’analisi del film.
Essendo Horus un dio dal corpo umano ma con la testa di falco, egli ha davanti non pochi problemi nel limonare una donna, figuriamoci il resto. Per superare questo “problemino” prende in prestito il corpo di un carcerato rivoluzionario, tal Nikopol (Thomas Kretschmann), per poi mettersi a cercare locali in cui lo speed date esiste ancora. Ma qui entra in scena il personaggio più incredibile dell’intera pellicola: il saggio incappucciato. Questo figuro oltre a ricoprire il ruolo di Marta Flavi della situazione (se non sapete chi è cercate in google), è uno che viaggia nel tempo e nello spazio (così anche gli amanti della teoria dell’universo interconnesso sono accontentati), il quale oltre ad essere la versione dark del Bogarts di “Casablanca”, ha costantemente delle bende in volto, che non servono a molto ma fanno molta atmosfera. Oltre a elargire teorie quantiche di rara intensità e fascino (manco fosse Bohm), il saggio incappucciato è importante perché porta sulla terra l’unica donna in grado di portare nel proprio grembo il seme di Horus (che ve lo ricordo ha le fattezze di un uomo uccello). Scoperta in uno dei suoi viaggi la figura femminile in questione oltre a chiamarsi Jill, possiede le bellissime forme di Linda Hardy, la quale non solo le mostra senza troppi problemi (accontentando la libido degli spettatori in crisi puberale), ma per confermare che la sua bellezza è la sola cosa che ha da offrire al film, utilizza tutta la sua inespressività per non farci distogliere l’attenzione da labbra, seni e sedere: e pensate un po’, ci riesce senza troppi problemi.
Riassumendo i personaggi chiave di “Immortel (Ad Vitam)”, ci ritroviamo con: una manciata di dei egizi che viaggiano su una astronave/piramide, Horus (uomo uccello) sempre una divinità che ha un paio giorni di tempo per bombare e lasciare un erede prima di venire ingabbiato, Nikopol ex rivoluzionario che presta il proprio corpo all’uomo uccello per fecondare Jill, la quale è l’unica donna abilitata a tale operazione perché non terrestre, ma che si trova sul pianeta blu dopo essere stata salvata con perfetto tempismo dal saggio incappucciato, personaggio che sa ogni cosa e parla attraverso un sudario nero molto suggestivo. Riassunti i protagonisti,
“Immortel” è costellato da ogni tipologia di comprimario esistente, partendo da una cinese realizzata in computer grafica, arrivando addirittura ad un killer che ha le fattezze di uno squalo martello ibridato con un polipo (non pensate nemmeno che sia una cosa tipo sharktopus). La parte più interessante del film però sta proprio nella storia che racconta, se da come l’ho descritta a grandi linee sembra una immane cazzata, ed infatti lo è, allo stesso tempo grazie alla regia di Bilal riesce a dar vita ad una pellicola in grado di concretizzare la “teoria del cerchio”, ed ora sezionandovi il film in punti cardine vi spiego il perché.
- Conosciamo Horus (uomo uccello)
- Horus cerca un corpo
- Horus cerca una donna
- Horus bomba una donna
- Horus mette in salvo la donna
- Horus viene imprigionato
- Conosciamo il figlio di Horus (uccello e basta)
Come possiamo vedere tutta la trama è Horus-centrica (ed è questa la genialata), il resto è secondario, dall’ambientazione, alla cinese in CGI, passando per Charlotte Rampling parruccata per l’occasione (eh già c’è pure lei). Appresa la centralità dell’uomo uccello, basta applicare “la teoria del cerchio” in tutta la sua forza e scopriamo la qualità principale dell’intera produzione. Infatti che si inizi a guardare “Immortel” partendo dal punto 3 o dal punto 7 il film non ne viene minimamente intaccato, anzi. Se ad esempio iniziamo a guardalo dal punto 7, tutto quello che verrà dopo sembrerà un flashback di Horus che ci racconta la storia degli ultimi giorni prima della sua prigionia.
Ora ditemi un film del genere può essere considerato brutto?
Un film in cui tutto è possibile e fruibile indipendentemente da come si susseguono gli eventi può dirsi poco riuscito?
Un film in cui c’è un saggio mascherato ed un uomo uccello possiamo definirlo poco suggestivo?
Le risposte sono ovviamente negative, andando così a stilare un giudizio positivo nei confronti della pellicola di Bilal, “Immortel (Ad Vitam)” piacerà molto agli amanti del fumetto (in grado di colmare la mancanze della sceneggiatura godendoselo sicuramente di più), ma anche a coloro che non hanno paura nell’approcciarsi a qualcosa di affascinante e imperfetto, ma di sicuro non sperimentale come lo stile visivo sembra suggerire.