Godzilla – Visioni Verticali
Capita, sempre più raramente, di imbattersi in pellicole capaci di trasformare una storia lineare e semplice (ed anche scontata a livello cinematografico) in qualcosa che vale la pena vedere e ricordare. Questa nuova versione di “Godzilla” rientra proprio nella stretta cerchia di queste fortunate produzioni (tra cui potremmo inserire “Jurassic Park” ad esempio).
Nonostante fosse lecito aspettarsi una revisione/aggiornamento del classico “disaster movie” (un “compito per casa” ben eseguito insmoma), a base di mostri giganteschi, città distrutte, civili morti e militari che ammazzano più persone loro nel tentativo di mettere fine al pericolo, senza dimenticare di condire tutto con il patriottismo più classico (anche se le bandiere svolazzanti non mancano nemmeno qui), si intuisce fin dai titoli di testa come ciò che si appresta ad invadere lo sguardo non sia la “solita” distruzione di massa giustificata goffamente da una storia il più minimale ed accettata possibile.
Gareth Edwards dopo essere stato ufficiosamente eletto “enfant prodige” della fantascienza spettacolare e intelligente con il riuscito “Monsters”, si ritrova a dover attualizzare il classico dei mostri e lo fa con due armi dirompenti: il realismo visivo e la coerenza narrativa (entrambe cose non da poco per un cineasta alla seconda pellicola). Partendo dalla seconda è chiaro fin da subito come il regista abbia stampato in mente il fatto che il protagonista della pellicola sia una lucertola grande più di 100 metri (e non il solito uomo ordinario in condizioni straordinarie), ed è incredibilmente efficace nell’utilizzare comprimari umani per descrivere “usi e costumi” di questa e della nemesi che si troverà a fronteggiare.
Eccellente nel veicolare sapientemente le informazioni necessarie a rendere credibile l’esistenza di esseri giganteschi antecedenti all’essere umano, “Godzilla” mostra per la sua durata l’impotenza dell’uomo nei confronti della natura che lo ha creato allo stesso modo dei mostri che non potrà mai fronteggiare. Due diverse visioni del medesimo mondo albergano nel film Edwards, da un lato quella impotente dell’uomo che può solo tentare di limitare i danni (e non si mette a sparare testate nucleari a tutto quello che ritiene ostile), l’altra, quella di creature antiche come il tempo le cui azioni sono regolate da istinti che li riconducono ad essere predatore e preda.
Ed in mezzo alla lotta di questi mostri tutto quello che avviene sullo sfondo serve solamente ad accrescere il pericolo e la necessità di salvezza (oltre a dare una dimensione al tutto). I vari personaggi e le loro storie/vite sono tutte egualmente interessanti e tutte funzionali allo scopo ultimo (gli interpreti sono tutti perfetti nei loro ruoli), ossia alimentare quel realismo visivo citato sopra.
Costantemente intrriso da tonalità tendenti al grigio la pellicola di Edwards vuole, riuscendoci, apparire realistica descrivendo gli ambienti con i toni di un documentario senza però di fatto esserlo (niente telecamere a mano, o spettri di mokumentary), costruendo ad arte un telaio visivo suggetisva bellezza. Le scelte coraggiose di Edwards sommandosi perfettamente tra loro, costruiscono un corpo cinema dalla indiscutibile verticalità, che costringe lo sguardo al ruolo di osservatore impotente, mentre tutto gli scorre difronte, rimane in esso solamente la speranza di una meritata sopravvivenza.