Ho iniziato l’anno nuovo con la visione appena terminata di “American Hustle”, che ha sostituito “Capitan Harlock”. Purtroppo i posti per vedere il pirata spaziale erano esauriti ed ho ripiegato sulla pellicola di David O. Russel. A parte che l’ho travata ben fatta, non mi ha pienamente entusiasmato, ma ci ritornerò sopra nei prossimi giorni, dato che non ho più l’obbligo di scrivere a film appena terminato, evito di farlo. Continuo invece con la carrellata di film che ho visionato durante queste festività.
Pain & Gain – Muscoli e denaro
Michael Bay mi piace, trovo che abbia uno stile di regia assolutamente energico ed a suo modo asciutto, l’immagine e la storia poggiano l’una sull’altra snellendosi a vicenda, non esiste profondità nel suo modo di raccontare, ma la pura estetica si fa narrazione. Questa ultima pellicola esula quasi completamente dalla sua filmografia costellata di produzioni “giganti”, piene d’azione ed adatte alla maggior parte del pubblico, anzi si potrebbe dire che qui la sua regia abbia preso una deriva classica, dove tutto quello che lo rappresenta da sempre è concentrato nella parte iniziale, per poi lasciare spazio ad una costruzione dell’immagine e del telaio narrativo diverso dal modo a cui il cineasta ci aveva da sempre abituati (leggasi meno confusione e moltitudine di dialoghi). Il film magari non è una delle sue pellicole più riuscite, ma questa specie di “Burn After Reading” miscelato con la serie televisiva “Miami Vice” e le pubblicità di aminoacidi, si lascia vedere di buon grado e forse gli eterni detrattori del cineasta avranno qualcosa su cui parlare, magari spezzando lance in suo favore, i fan di vecchia data invece potrebbero anche rimanere alquanto delusi, o incazzarsi a morte e ne avrebbero pieno diritto.
Stoker
La trasferta americana di Park Chan-wook mi ha completamente stregato. La cosa migliore del film è proporre in modo diverso qualcosa già passato allo sguardo, la bravura di Chan-wook si manifesta nella creazione di immagini e una struttura visiva su di una sceneggiatura quasi inesistente, o comunque esilissima e nemmeno tanto originale (la solita vendetta insomma). Il triangolo formato dalle tre figure principali è magnetico, la Kidman sa rendersi antipatica e fragile al punto giusto (qui è una delle rare volte in cui non è odiosa a prescindere), Matthew Goode è lo zio portatore di luciferini cambiamenti ed infine Mia Wasikowska, vera ed indiscussa protagonista. “Stoker” è il racconto di formazione che si mischia alle atmosfere del thriller, con una eleganza visiva semplicemente magnifica, la composizione delle immagini ed il loro susseguirsi non fa che donare potenza ad una racconto che altrimenti non ne avrebbe. La storia non è così importante come le azioni che i personaggi mettono in mostra, sembra ricordarcelo costantemente il regista coreano proprio come la protagonista che in aula di disegno si permette di ritrarre l’interno del vaso piuttosto che il fiore, interpretando proprio come la pellicola in maniera diversa un soggetto.
Spring Breakers
Negli ultimi anni non ho più avuto tempo da ritagliare dalle mie giornate per muovere il mio culo ed andare alla mostra del cinema di Venezia, ciononostante seguo le pellicole presenti tramite web, conferenze stampa eccetera. Ricordo bene come la pellicola in questione suscitò scalpore, ho ancora impresso come nel web via via iniziavano a seguire recensioni entusiastiche di ogni tipo (ci stava anche chi lo stroncava brutalmente), queste due cose unite assieme mi hanno sempre allontanato dalla visione del film, perché non mi fidavo ed a conti fatti dopo aver speso poco più di una novantina di minuti del mio tempo per vederlo avevo ragione. La pellicola di Harmony Korine in definitiva è semplicemente un inutile spreco di energie e talenti, legato ad una rappresentazione troppo stereotipata per essere credibile dei personaggi presenti. Il pregio maggiore è che questa è forse la prima pellicola “per lui e per lei”, grazie all’enorme dispiego di seni, sederi, addominali e pettorali, oltre a una realizzazione che regala dei bellissimi momenti visivi, privi di emozione ma tecnicamente riusciti. Si insomma, mi aspettavo una delusione e questa alla fine si è rivelata in tutto il suo splendore, se date in mano ai ragazzi di “Jersey Shore” delle mitragliette e passamontagna uscirebbe qualcosa comunque più interessato e meno legato a stereotipi di questo “Sping Breakers”
La regola del silenzio
Ogni volta che tra le righe del cast tecnico figura Robert Redford, uno volente o nolente sa già a cosa andrà incontro (e non si tratta di essere premuniti), quindi pellicole condite da un messaggio sociale o politico in misura più o meno larga a seconda dell’argomento trattato. Quando invece lo troviamo in cabina di regia, oltre a ritagliarsi anche il ruolo da protagonista, ed il film è un thriller con comprimari di prim’ordine, basato su di un ex attivista politico (fatalità, ripeto non si tratta di essere prevenuti) che vuole far riaffiorare la verità sepolta da anni e si avvale anche di un giornalista desideroso di fare carriera, siamo tutti sicuri che il risultato finale è una sua pellicola al 100%, condita dagli echi di tutte quelle simili che lui ha interpretato sotto la direzione di altri registi. “La regola del silenzio” infatti è la classica caccia all’uomo (Condor?), carina, malinconica ma decisamente votata al minimo sindacale per intrattenere il giusto tempo senza presentare particolarità degne di essere ricordate.