Gemini Man – Ang Lee colpisce ma non convince
Ang Lee, Jerry Bruckheimer e Will Smith. Tre nomi che sulla carta, assieme a un plot che mescola azione e sci-fi, creano le più rosee aspettative, ma “Gemini Man”, almeno in parte, purtroppo le ridimensiona ampiamente. La storia vede il sicario Harry Brogan, uomo al soldo di una agenzia segreta del governo, deciso di chiudere la sua carriera definitivamente e godersi la pensione. Purtroppo la sua ultima vittima in realtà era una figura scomoda per il governo, al punto che questo si vede costretto a sbarazzarsi di Brogan. Dopo svariati fallimenti, ingaggiano un killer che si rivelerà essere un clone più giovane dello stesso Harry. Il confronto tra i due svelerà cosa si celi dietro al contractor privato “Gemini”, costringendo Brogan a confrontarsi definitivamente con il proprio passato.
La pellicola di Ang Lee nonostante una realizzazione tecnica impeccabile non riesce a scatenare alcuna riflessione oltre a quella tecnologia, non regala mai veramente uno spettacolo coinvolgente, ma solamente momenti d’azione incapaci però di far soprassedere su di una struttura narrativa stanca e abusata.
Come anticipato all’inizio “Gemini Man” ha nella propria invisibile faretra un sacco di frecce ben appuntite, tra cui una produzione ad alto budget, un regista che non disdegna la sperimentazione visiva e un interprete che cerca riscatto al botteghino. Peccato che l’arco usato per scagliare queste frecce, la sceneggiatura, non sia abbastanza teso e alla fine finisca per fargli compiere un percorso che va dalla mano dell’arciere al piede dello stesso, causando evidenti dolori. Ang Lee decide di proseguire sull’evoluzione tecnologica del mezzo girando in 3D, ma anche con una macchina HFR 120, che di fatto forte proprio dei 120 fotogrammi al secondo, contro i 24 di una qualsiasi altra produzione visiva, donano profondità e realismo al quadro visivo. Inizialmente la resa generale è straniante per via di una messa a fuoco dei dettagli che li stacca completamente dal piano dell’immagine, ma procedendo con i minuti ci si abitua a questa percezione netta di ogni oggetto o persona appaia in scena. Sul versante effetti speciali, il piatto forte è lo scontro tra Will Smith cinquantenne e la sua controparte ringiovanita digitalmente. Anche in questo caso il lavoro è di assoluto riferimento, sia per la qualità generale dello stesso, ma anche per la gestione delle sequenze da parte di Ang Lee.
Non è un caso che in “Gemini Man” nelle scene diurne il doppio digitale non riceva quasi mai un primo piano prolungato, lasciandoli tutti nelle situazioni di scarsa illuminazione o notturne. Quando questo non accade, nella sequenza finale, i limiti del digitale di mettono in mostra spezzando la credibilità fino ad allora acquisita. Will Smith ancora una volta incarna perfettamente il personaggio d’azione che gli viene cucito addosso, ma la sua interpretazione risulta stanca, incolore, quasi meccanica. Probabilmente dover recitare due interpretazioni diverse dello stesso personaggio, ha ridimensionato la sua performance verso qualcosa di meno personale ma più funzionale. In “Gemini Man” l’azione si svolge in più continenti con un ritmo serrato, regalando il migliore dei momenti nell’inseguimento a Cartagena durante il primo tempo.
La sceneggiatura ad opera iniziale di Darren Lemke è datata 1997, successivamente negli anni è stata rimaneggiata da Andrew Niccol, Brian Helgeland, Jonathan Hensleigh, per finire tra le mani di Billy Ray e David Benioff e finalmente sui nostri schermi. Purtroppo il peso di un plot datato si fa sentire in modo pesante e contrasta tremendamente con l’arsenale tecnologico impiegato da Ang Lee per raccontare le vicende che muovo il racconto. “Gemini Man” ha la struttura più che collaudata di tanti film d’azione dei primi anni duemila, trattando un tema, quello del doppio, del clone, più che abusato nel corso del tempo. Il risultato di questo dualismo che vede contrapporre tecnologia cinematografica avanzata alle prese con una sceneggiatura fin troppo datata nel trattare i temi che vuole portare sullo schermo, fanno di “Gemini Man” un giocattolo pirotecnico privo di personalità. La pellicola di Ang Lee nonostante una realizzazione tecnica impeccabile non riesce a scatenare alcuna riflessione oltre a quella tecnologia, non regala mai veramente uno spettacolo coinvolgente, ma solamente momenti d’azione incapaci però di far soprassedere su di una struttura narrativa stanca e abusata. “Gemini Man” da esperimento sulla dualità tecnologica del cinema, rappresentata dall’analogico odierno e il digitale ringiovanito, perde ogni interesse grazie a una storia già vissuta fin troppe volte. Un lavoro teorico che rimane tale e di conseguenza si dimentica praticamente subito.