Il filo nascosto

Il filo nascosto – Il calore del freddo

Reynolds Woodcock è uno stilista, un sarto, che dirige assieme alla sorella Cyril una casa di moda nella Londra del dopoguerra. Meticoloso, ossessivo, zelante e autoritario, Reynolds ha votato la sua vita al lavoro, perché oltre ad essere incredibilmente apprezzato per questo è anche la passione che coltiva fin dalla infanzia. Un giorno incontra Alma, la cameriera di un bistrot. Tra i due scatta subito una forte attrazione, tanto che lei diverrà la musa ispiratrice di lui. Le loro vite si intrecceranno fino a divenire completamente dipendenti, in una simbiosi dai tratti malsani ma incredibilmente efficace nel mantenere l’equilibrio tra i due.

Il filo nascosto

“Dentro l’imbottitura di un abito ci puoi nascondere qualsiasi cosa: segreti, monete, ricordi…”, lo sa bene il protagonista Reynolds Woodcock e ancor di più il regista Paul Thomas Anderson, che nel suo “Il filo nascosto” cela moltissime cose, tra cui lui stesso nel titolo originale del film (P.T.). La pellicola del regista americano offre una varietà considerevoli di chiavi di lettura, caratteristica propria dei narratori che hanno conseguito una maturità artistica che rende il loro modo di trattare la materia trasversale al contenuto.

“Dentro l’imbottitura di un abito ci puoi nascondere qualsiasi cosa: segreti, monete, ricordi…”

“Il filo nascosto” è un pellicola sulla importanza dello sguardo e del saper guardare, ma è anche una discesa nelle ossessioni della genialità, un melodramma di una eleganza sublime, una pellicola che mette in guardia dal prezzo della perfezione e altro ancora. Come detto prima Anderson nasconde molte cose sotto la superficie del suo racconto di un amore morboso tra lo stilista e la sua musa ispiratrice. Servirebbero fiumi di caratteri per una vera e propria analisi di questa incredibile opera, ma questa porterebbe sicuramente ad un inutile svelamento dell stessa.

Il filo nascosto

Ma possiamo soffermarci su una cosa, un vero primato che il film consegue nella filmografia del regista. “Il filo nascosto” è la prima pellicola in cui uno dei temi del cineasta viene ribaltato. Se in “Magnolia”, o anche ne “Il petrolierie” o “The Master” c’è sempre un figlio in perenne conflitto con il padre,o in cerca di esso, il personaggio di Woodcock (Daniel Day-Lewis) sposta questa riflessione mettendo al centro della stessa la figura materna. Ecco che quindi Alma, la donna che riesce a sorreggere lo sguardo del protagonista e lo sfida senza timore alcuno, diviene l’incarnazione della madre perduta e forse mai compresa.

Essa è una donna forte capace di scelte anche difficili pur di aiutare il proprio uomo a non smarrirsi tra le pieghe delle proprie debolezze. Ne “Il filo nascosto” come in “Eyes Wide Shut” di Kubrick la riflessione sul ribaltamento di forze interne di una coppia diviene fondamentale, qui ancora più che nel film del maestro newyorkese, l’uomo accetta la “sopraffazione” da parte della donna perché questa porta alla rinascita del suo io. L’uomo moderno sembra cedere in modo conscio il passo al sesso femminile capace quest’ultimo, di rinnovare con nuove visioni il mondo che lo circonda, raggiungendo equilibri insperati, o semplicemente impensabili dal punto di vista maschile.

Il filo nascosto

“Il filo nascosto” è un grande affresco melodrammatico, un corpo cinema dalla superficie estetica sontuosa che nasconde in profondità molti temi, alcuni anche attuali (vedasi il riferimento alla categoria chic). Un film intimo eppure enorme, con protagonista uno scapolo impenitente eppure si rivela essere una delle pellicole più femministe che siano state dirette in questi dieci anni. Tutto quello che racconta, tutte le riflessioni che scaturisce, tutto quello che mette in scena Paul Thomas Anderson lo fa con una eleganza disarmante e un ritmo perfettamente cadenzato.

“Ti voglio piatto sulla schiena. Impotente, tenero, aperto solo con me per aiutare. E poi ti voglio di nuovo forte. Non morirai. Potresti desiderare di morire, ma non lo farai. Devi sistemarti un po ‘.”

“Il filo nascosto” è talmente perfetto da fuori e denso nel di dentro al punto che potrebbe quasi allontanare coloro non disposti ad andare oltre il “semplice” racconto, perché il film è una sfida al superamento della storia d’amore malato tra i due protagonisti, un vero e proprio invito a riscoprire il cinema più puro, quello che per forza di cose per essere apprezzato ha bisogno di essere visto e rivisto. Ma il cinema è anche questo, amore, odio e poi ancora amore e forse di nuovo odio in un ciclo infinito che arricchisce ogni volta l’animo di chi non ha paura di lasciarsi andare tra le braccia dei sentimenti.

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